L’inseparabile quartetto di Beirut

Foto originale inviata da Sergio


Ricevuto il testo che segue dopo un paio di mail di andata e ritorno fra Sergio, l’autore del testo qui di seguito, ed il sottoscritto.

Non vi nascondo che ho riletto il testo parecchie volte, scritto con una delicatezza ed una sensibilità fra una marea di ricordi da parte dell’autore, un Sergio che con quello che ha scritto ha fatto una delle schiacciate a canestro più memorabili della sua carriera.

Non occorre aggiungere altro, basta leggere il suo articolo…

Diego

Webmaster, SSB

Dust Hath Closed Helen’s Eye

Di recente il nostro ottimo webmaster mi ha chiesto di contribuire qualche scheda o ricordo di compagni di Beirut. Ma non erano poi molte le persone che conoscevo bene. Resta vero che tanti non hanno mai neppure scritto la loro storia e – considerando che il sito ha già una certa età – anche i profili esistenti andrebbero aggiornati. Le notizie sono datate. Io, alla mia età, non gioco certo più a basket.

Non credo di poter parlare di altri in modo compiuto. Tuttavia, tra le persone che non hanno mai scritto la propria storia, ce n’è una che mi è particolarmente cara. E’ mancata pochi giorni fa, dopo un lungo calvario che ha affrontato con coraggio e riservatezza. Lascia un marito amatissimo, un figlio, una figlia e due sorelle. Una di queste è la sua gemella, che partecipa in modo misterioso della sua stessa natura e sostanza.

No, non posso scrivere io la storia di Carla, anche perché non la conosco, se non per sommi capi. L’università a Ginevra, il matrimonio, lunghi anni in Libia, negli Stati Uniti e poi nella sua nuova patria, la Grecia, che adorava. L’ho vista per l’ultima volta ad Atene, nel maggio del 2018, già indebolita ma di ottimo umore. Con suo marito preparò a me e alla mia compagna una cena memorabile e fu una serata piacevolissima, piena di ricordi e di risate. Non ha voluto che mostrassi a nessuno le foto di quella sera. Non si riteneva più all’altezza del proprio inarrivabile standard. Ci siamo abbracciati e salutati con promesse di nuovi incontri, ma credo di avere capito – in qualche modo – che non l’avrei rivista mai più.

Non posso scrivere la storia di Carla perché, dopo averla avuta come compagna di classe a Beirut, non l’ho praticamente più frequentata. L’ho rivista a Roma, per la famosa riunione degli ex-allievi, ed era come se ci fossimo lasciati il giorno prima. L’ho incontrata a Milano qualche tempo dopo, per un breve giro turistico della città. E infine l’ho rivista ad Atene. Negli ultimi anni siamo stati in contatto via social, ci siamo scambiati auguri, pareri su questa o quella spiaggia greca, baci e saluti. Mi ha informato della sua malattia, ammettendomi al cerchio ristretto di quelli che sapevano e intimandomi di non parlarne con nessuno. Quando non ha risposto ai miei auguri di compleanno, ho capito che era finita.

Marina, con un breve messaggio, mi ha dato la notizia e mi ha chiesto di comunicarlo agli ex di Beirut. Mi ha commosso che abbia pensato a me. Così, del nostro più o meno inseparabile quartetto di Beirut si può ora dire, come di quel vecchio album dei Genesis, And Then There Were Three. L’altro giorno Claudio mi diceva che il conto alla rovescia adesso inizia anche per noi: ma al di là di questo resta una sensazione immensa di vuoto, un dolore profondo, sordo e razionalmente difficile anche da spiegare. E’ come se, improvvisamente, quel tesoro fondante di ricordi, affetti e certezze di Beirut, su cui con maggiore o minore abilità e profitto abbiamo costruito le nostre esistenze, vacillasse e minacciasse di crollare. Ci siamo rivisti molto di rado e avremmo anche potuto non vederci mai più. Ma Carla e Marina da qualche parte c’erano, e questo era sufficiente a tenere insieme tutto.

Non posso scrivere la storia di Carla, non la conosco nei dettagli. Posso però cercare di spiegare cosa è stata Carla per me a Beirut: c’è bisogno di dire che sono stato segretamente – ma neppure tanto – innamorato di Carla fin da quando avevo 13 anni? Sono percorsi di idealizzazione comuni nell’adolescenza e descritti in ogni romanzo di formazione che si rispetti. Ragazzine inconsapevoli si vedono rovesciate addosso tutte le proiezioni inconsce di ragazzini sensibili e impacciati e non possono fare nulla se non sorriderne, sempre che se ne accorgano. Ma Carla non era una ragazzina qualsiasi. Posso tranquillamente dire che Carla resta ancora oggi la ragazza – e poi donna – più bella e affascinante che io abbia mai conosciuto. E non sono mai stato di gusti facili – forse anche perché l’ho avuta di fronte tanto spesso quando ero così giovane. Certo, in questo giudizio c’è tutta la nostalgia che si può avere per la propria adolescenza. Ma credo che chi, anche meno partigiano di me, l’ha conosciuta, potrà capire quello che dico. Lo era in modo assolutamente naturale e spontaneo, senza alcuna malizia o civetteria. Era bellissima in prima liceo ed era bellissima a cinquant’anni. Io, che sono per natura portato a idealizzare, non potevo non farne una sorta di mito. Una cara amica comune, anche lei della scuola, l’ha definita con un aggettivo che le si attaglia perfettamente: regale. Come nelle Stanze del Poliziano: “…nell’atto regalmente è mansueta, / e pur col ciglio le tempeste acqueta…” che fissano come in una miniatura un archetipo femminile troppo letterario con cui ebbi non pochi guai in seguito.

Ma Carla era una ragazza molto reale e concreta, assolutamente indisponibile a farsi idealizzare. Pur un poco altera (sempre Poliziano: umilmente superba), era naturalmente allegra e simpaticissima. Dotata di un senso dell’ironia sviluppato e tagliente,non ci metteva molto a prendere soavemente per i fondelli chi le capitava a tiro. Non so quanto percepisse della mia ammirazione: probabilmente lo capiva – le ragazze a quell’età sono molto più sveglie dei maschi e lei aveva anche sei mesi più di me. Carla era però assolutamente priva di secondi pensieri, veramente diretta e profondamente buona: non avrebbe mai approfittato del suo fascino per esercitare potere su qualcuno o per mortificarlo. Mi guardava e mi sorrideva. Spesso rideva a crepapelle. Forse mi trovava buffo. Ma le ero quantomeno simpatico: questo mi pareva di capirlo. Quanto ci siamo divertiti scherzando insieme! Come quasi sempre accade in questi casi, la mia infatuazione era destinata a rimanere semplicemente tale. Ero troppo giovane, timido e imbranato per sperare in alcunché e Carla partecipava già della vita vasta e ricca di mistero di chi viveva fuori dal Collegio, frequentando ragazzi più grandi e interessanti di me.

Sua sorella, Marina, non era da meno. Insieme formavano una coppia incredibile per bellezza ed eleganza. Chi degli ex di Beirut che le hanno conosciute non ricorda “le gemelle”? In un ambiente tutto sommato un po’ dimesso come quello della scuola, loro erano sempre perfette, a rappresentare un mondo altro, raffinato e pieno di stile, che esercitava un richiamo potentissimo sulle fantasie mie e di Claudio. La prima volta che, dall’alto del balcone della nostra stanza, le vedemmo comparire in cortile con i loro trench chiari, in compagnia della loro mamma, fu come se un raggio potente di luce fosse improvvisamente entrato nella nostra esistenza grama, fatta di lunghe ore di studio, merende a base di panini al formaggio della Vache qui rit e benedizioni serali. Quando per la prima volta ci invitarono a casa loro toccammo il cielo con un dito e iniziò la parte migliore della nostra vita a Beirut.

Ora che gli anni si assomigliano tutti e scorrono veloci è quasi impossibile credere che tante emozioni, tante scoperte e tante avventure esistenziali abbiano potuto concentrarsi nello spazio ridotto di un paio di anni interminabili, nel corso dei quali ogni giorno durava quanto adesso dura un mese e meritava l’annotazione di più avvenimenti memorabili. Gli studi, le gite, le feste, i compagni e le compagne, le passeggiate per Beirut, i cinema, le partite di basket, e tanto altro. Per me e Claudio, che eravamo inseparabili, al centro di tutto questo c’erano sempre Marina e Carla. Le vedevamo tutti i giorni in classe (e già questo era un indiscutibile privilegio) e poi le vedevamo in cortile, fuori dalla scuola, alle feste. Claudio, forte di una determinazione che io non ho mai posseduto, era diventato il fidanzatino di Marina. Io vedevo Carla diventare sempre più bella e più donna, e restavo imbambolato a contemplarla. 

Venivamo dai primi, duri, anni di collegio ed eravamo stati lontani dalle nostre famiglie a un’età in cui non si dovrebbe esserlo. Loro avevano perso il papà molto presto e – anche se non facevano trasparire nulla – ne avevano sofferto molto. Insieme siamo cresciuti, abbiamo giocato e scherzato e ci siamo divertiti un mondo, sostenendoci a vicenda nelle piccole sfide quotidiane della scuola. Di sera, quando io e Claudio avevamo finito di studiare nella nostra camera e ascoltavamo Harvest, o Wild Tales, o il meraviglioso Blood on the Tracks – per citarne solo alcuni – continuavamo a parlare di loro, come abbiamo poi inevitabilmente fatto tutte le volte che in questi 45 anni ci siamo ritrovati.

A un certo punto le circostanze di Beirut e delle nostre esistenze ci hanno diviso, ed è successo troppo presto. Come sarebbe stato bello crescere ancora, continuare a vedersi, diventare adulti insieme … Non è stato così. Siamo rimasti in contatto, ci siamo scritti (allora esistevano ancora le lettere…), ma lentamente la vita ha iniziato a introdurre il suo cuneo tra di noi e ci siamo inevitabilmente allontanati. Ognuno ha seguito il suo destino, conosciuto nuove persone e fatto esperienze diverse. Naturalmente non ho mai dimenticato Carla e credo che, a livello inconscio, anche quando era ormai lontana dai miei pensieri, mi abbia fornito una regola aurea per inquadrare le donne che mi capitava di incontrare. Non si trattava solo di bellezza e di armonia, ma di simpatia, di sincerità, di stile, di bontà d’animo e, naturalmente, di una buona dose di ironia. Non è stato facile misurare con quel metro, e nessuna mai aveva tutte quelle qualità. Alcune ne avevano di diverse; e certo la mia vita ha poi conosciuto, come era auspicabile che fosse, altre e più compiute esperienze con il femminile – per fortuna.

Sono rimasti tanto affetto e una grande, complice amicizia. Adesso non mi mancherà terribilmente solo la Carla di Beirut, mi mancherà anche la Carla “grande”, che pure ho visto poco. Il tempo delle emozioni è un tempo diverso da quello cronologico, e una stessa sostanza può manifestarsi in forme differenti. Carla era ancora assolutamente Carla non molto tempo fa; e basta in fondo poco perché anch’io – a quasi sessant’anni – scendendo le scale dal mio ufficio possa ritrovarmi ancora in quelle che davano sul cortile della scuola. Di tutto quel periodo irripetibile della mia – spesso anche sofferta – giovinezza, quella di Carla resterà sempre l’immagine più bella e insostituibile. Anche perché alcuni ricordi rimangono, come diceva Ezra Pound, in the mind indestructible, e il quindicenne che ero continua a coesistere con quello che mio malgrado sono adesso.

La vedo nitidamente mentre scoppia a ridere dopo avere letto queste poche righe, al culmine di quella stairway to heaven che avrà percorso impaziente, finalmente libera dalla sofferenza e di nuovo bella come è sempre stata.

Sicuramente dirà una buona parola anche per me.

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