Intervista al professor Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale «Sacco» di Milano
Foto originale tratta dal video sul sito Corriere.it
Ciao a tutti, l’intervista è stata ripresa da tutti i media e anche di più. Qui la gente sembra non dar tanto peso alla cosa, ma, Dio non voglia, dovremo aspettarci il peggio, sia dal punto di vista sanitario che economico, fra due-tre settimane.
Parce nobis Domine!
“IN QUARANTADUE ANNI DI PROFESSIONE NON HO MAI VISTO NIENTE DI SIMILE” – L’INFETTIVOLOGO MASSIMO GALLI, PRIMARIO DEL SACCO DI MILANO: “STA SUCCEDENDO QUALCOSA DI GRAVE, STIAMO TRATTANDO UNA MAREA MONTANTE DI PAZIENTI IMPEGNATIVI” “CHI HA CERCATO DI INFONDERE TRANQUILLITÀ NON HA CONSIDERATO LE POTENZIALITÀ DI QUESTO VIRUS. LA SITUAZIONE È EMERGENZIALE, È L’EQUIVALENTE DELLO TSUNAMI PER NUMERO DI PAZIENTI RICOVERATI TUTTI INSIEME. VENERDÌ IN LOMBARDIA C’ERANO…”
Mentre parliamo al telefono per analizzare l’ impennata dei casi di Covid-19, il professor Massimo Galli – primario infettivologo dell’ ospedale «Sacco» di Milano – è in reparto, costretto a interrompere tre volte la conversazione per rispondere ai colleghi di altre strutture che chiedono di potergli inviare pazienti gravi: «Quello che lei sta ascoltando in tempo reale vale più delle mie risposte. Siamo in piena emergenza. Sì, sono preoccupato».
Come si spiega questa impennata di contagi? «È accaduto quello che molti di noi temevano e speravano non accadesse. Il virus ha dimostrato di aver eluso i criteri di sorveglianza. L’ epidemia ha a tutti gli effetti conquistato una parte d’ Italia. Ci troviamo a dover gestire una grande quantità di malati con quadri clinici importanti. Sta succedendo qualcosa di grave, non soltanto da noi ma anche in Germania e Francia, che potrebbero ritrovarsi presto nelle nostre stesse condizioni e non glielo auguro. Stiamo trattando una marea montante di pazienti impegnativi».
A cosa è dovuta questa esplosione di casi?
«I quadri clinici gravi non fanno pensare che l’ infezione sia recente. È verosimile che i ricoverati abbiamo alle spalle dalle due alle quattro settimane di tempo intercorso dal momento in cui hanno preso il virus allo sviluppo di sintomi molto seri, dalla semplice necessità di aiutarli con l’ ossigeno fino a doverli assistere completamente nella respirazione».
C’ è chi ha paragonato questa malattia all’ influenza. Accostamento incauto?
«Chi ha cercato di infondere tranquillità, e li capisco, non ha considerato le potenzialità di questo virus. In quarantadue anni di professione non ho mai visto un’ influenza capace di stravolgere l’ attività dei reparti di malattie infettive. La situazione è francamente emergenziale dal punto di vista dell’ organizzazione sanitaria. È l’ equivalente dello tsunami per numero di pazienti con patologie importanti ricoverati tutti insieme. Le descrivo la giornata di venerdì, prima che arrivasse la nuova ondata di casi. In Lombardia erano 85 i posti letto occupati da malati intubati con diagnosi di Covid-19, una fetta molto importante di quelli disponibili. Per non contare il rischio di contagio al quale sono esposti gli operatori. Un carico di lavoro abnorme».
Le misure predisposte dal governo italiano hanno funzionato?
«È stato fatto tutto ciò che era possibile e adesso bisogna continuare con le restrizioni, cercando di evitare il più possibile l’ affollamento. Purtroppo il virus è entrato in Italia prima che si cominciasse a ostruirgli la strada con la chiusura dei voli dalla Cina.
La penetrazione nel nostro Paese è precedente, circolava già prima della fine di gennaio anche a giudicare dall’ impennata di questi ultimi giorni. Sono tutti contagi vecchi per la maggior parte. Risalgono agli inizi di febbraio, qualcuno anche a prima».
Significa che questa malattia si sviluppa lentamente a cominciare dal contagio?
«È esattamente così. Ha più fasi e si esprime nella sua massima gravità anche a 7-10 giorni dalla comparsa dei primi sintomi. È molto probabile che dietro tutti i pazienti gravi ce ne siano altrettanti infetti ma meno gravi. Per usare un termine tipico dell’ epidemiologia, questa è solo la punta dell’ iceberg. Anche la migliore organizzazione sanitaria del mondo, e noi siamo tra queste, rischia di non reggere un tale impatto».
L’ Italia sembra per ora divisa in due. Al Nord l’ emergenza, al Centro-Sud un’ apparente calma. Come mai?
«Poteva capitare ovunque e non ci sarebbe stata differenza. Qualcuno, forse una sola persona, è arrivato a Codogno e ha sparso l’ infezione senza che ce ne accorgessimo. Un fenomeno casuale con l’ aggravante che il focolaio è partito in ospedale. Mi auguro che non accada di nuovo quello che è successo in Lombardia dove un paziente infetto si è presentato al Pronto soccorso e non è stato riconosciuto perché i criteri di classificazione dei sospetti dettati dall’ Organizzazione mondiale della sanità erano già superati. Credo che grazie a questo precedente gli ospedali siano allertati».
Lei cosa prevede?
«La maggior parte dei malati guariscono ma ce ne sono tanti, troppi, da assistere. Le aree metropolitane finora sono rimaste fuori dalla zona rossa e speriamo restino così».
CI HANNO SCRITTO