Una tramandata eredità preziosissima
Oggi, 15 giugno, per noi salesiani del MOR (SDB e anche FMA) è un giorno ed un anniversario molto importante…
© Foto originale scovata su Internet, che ringraziamo…
Carissimi, per noi salesiani del MOR (SDB e anche FMA) oggi è un anniversario molto importante, come potete leggere in allegato (tratto dal libro “Simone Srugi nella storia di Betgamal”, seconda edizione).
Fino al 29 dicembre, faremo memoria dei primi SDB e FMA che giunsero nel 1891 come missionari nella Terra di Gesù e che ci hanno tramandato una eredità preziosissima.
In comunione
130 ANNI FA, COME OGGI, 15 GIUGNO:
L’ARRIVO DEI PRIMI SALESIANI E FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
IN TERRA SANTA (1891)
Negli istituti di Don Antonio Belloni, a Betlemme, Cremisan e Betgamāl il numero dei ragazzi assistiti aumentava di anno in anno, mentre quello dei “Fratelli” non cresceva in proporzione al bisogno[1]. Perciò don Belloni, volendo dare alla sua opera una sicura continuità, si era recato in diverse circostanze a Torino per chiedere aiuto a don Bosco, il quale glielo promise, ma in un imprecisato futuro. L’idea era quella di aggregare i belloniani ai salesiani; intenzione facile a dire, ma molto complessa da realizzare. Dopo la sua morte, le trattative furono riprese dal primo successore don Michele Rua (1837-1910), il quale studiò accuratamente il piano da attuare e insieme ai suoi fidati consiglieri, tra i quali don Giulio Barberis e don Eugenio Bianchi (catechista generale e, rispettivamente, maestro dei novizi) scelse i confratelli da inviare, e con l’approvazione della Congregazione di “Propaganda Fide”, organizzò le “spedizioni dei missionari”. Tra giugno, ottobre e dicembre 1891, corroborati da solenni celebrazioni nella basilica di Maria Ausiliatrice a Torino per l’anno giubilare dell’opera di don Bosco (1841), giunsero in Terra Santa 25 Salesiani (SDB: 3 sacerdoti, 10 chierici e 12 coadiutori) oltre a 5 Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA)[2].
I salesiani erano molto giovani, alcuni appena neoprofessi, come i chierici Giacomo Mezzacasa (del 1871), Salvatore Puddu (1874), Carlo Gatti e Mario Rosin (1875), e il coadiutore Angelo Bormida (nato nel 1870, professo il 18 settembre 1890). L’intenzione dei superiori era che potessero più facilmente ambientarsi e apprendere la lingua del posto: non tutti avevano l’ingegno di Mezzacasa che negli anni successivi apprese arabo, ebraico, siriaco e copto, o divennero specialisti come Gatti, ma “se non proprio tutti, molti si misero nel giro di pochi giorni, allo studio dell’arabo sotto la guida di un sacerdote maronita libanese. Se pensiamo alla personalità di don Belloni, alla sua cultura e alla qualità del suo inserimento nel mondo orientale, di cui un piccolo ma significativo segno è la biblioteca che organizzò a Betlemme, possiamo essere sicuri che sua preoccupazione fu quella di favorire in tutti i modi il loro apprendimento dell’arabo e, di conseguenza, la loro piena inculturazione. Un fatto da non sottovalutare, perché si partiva proprio con il piede giusto”. (POZZO, p. 8). È probabile che essi in ricreazione abbiano cominciato a scambiare le prime parole in arabo con i ragazzi locali (e tra questi il quattordicenne Simone Srugi), mentre a loro raccontavano di don Bosco che avevano conosciuto personalmente. Le prime impressioni che don Coradini trasmette in privato a don Eugenio Bianchi sono molto positive:
“Qui mi dà tutto l’aspetto delle nostre case; il Canonico è il centro di tutto, domina il cuore dei giovani con l’amore, come il nostro caro Don Bosco. I preti che son qui si mostrano affabilissimi; i più sono italiani, tutti barbuti. Vi sono alcuni chierici già professi, altri aspiranti: in tutto 18. Vi sono circa 100 orfanelli, di cui un gran numero postulanti, cioè desiderosissimi di farsi salesiani. Dobbiamo ritenere averci fatto il Signore un bel regalo nel farci venire in Terra Santa. Noi abbiamo qui un’opera tirata su con mille stenti da questo grande uomo, ben degnamente chiamato “padre degli orfani”, formata, in certi punti, più alla salesiana che la stessa casa madre; e nel modo più facile ci viene messa in mano dal medesimo Canonico, desiderosissimo di uniformare in ogni minima particolarità questa casa alle altre case salesiane”.
In particolare evidenzia l’impatto positivo prodotto dai chierici:
“La presenza dei cari chierici che ci ha mandati, raddoppia la gioia che il Signore ci concede sempre in questa Terra. Oh, se Don Bosco riempisse tutte le nostre case di chierici così buoni, quanto bene si opererebbe! Non valgo a dirle la cara impressione che han fatto in tutti quei di qui il contegno modesto ed allegro di questi chierici. I giovani ricevono nel conversar con essi la più efficace delle prediche, il più forte invito ad essere buoni. Io credo che non si sarebbe trovata nessun’altra via più espediente a tirar su questi giovani betlemiti, quanto con l’aver mandato questi chierici, che promovendo il gioco e l’allegria, impediscono il male e traggono al bene”. (Tre lettere di fine giugno/inizio luglio 1891: in ASC, A8062403; A8062404. Di uguale tenore sono quelle del chierico P.Signetti allo stesso don Bianchi il 17.12.1891 e il 04.01.1892, in ASC, A8062501; A8062502).
Anche le FMA erano relativamente giovani (27 anni di media); la superiora suor Annetta Vergano aveva soli 25 anni[3]. Emessa la professione perpetua a Torino (il 17 Settembre 1891), il 24 ricevette il crocifisso di missionaria dalle mani di don Rua, che volle intrattenersi con le partenti “per dare loro opportuni consigli. Sapeva infatti che si sarebbero trovate a superare momenti delicati e non pochi sacrifici e iniziali limitazioni”[4]. Le prime settimane si dedicano a stabilire rapporti di fiducia e d’intesa con le “Figlie di Maria Missionarie”, le religiose di don Giacinto Bianchi (1835-1914, dal 2008 Venerabile) che dall’agosto 1876 prestavano servizi domestici nell’orfanotrofio; grazie alla prudenza, umiltà e amabilità di suor Annetta, “prima di Natale tutto il personale femminile dell’orfanotrofio si era ricomposto nella pace”: alcune scelsero di rientrare in Italia, quattro chiesero di aggregarsi alle FMA. Le nuove arrivate fraternizzano subito con le ragazze betlemmitane in un incipiente oratorio, suscitando la meraviglia delle altre suore che in paese gestivano scuole di tipo confessionale per ragazze, ma non aprivano le porte in orario extrascolastico e non si mescolavano in cortile con ortodosse e latine; le ragazze invece gradiscono e “abboccano”.
[1] BERGERETTI, pp. 29-30, per il 1888 dava questi numeri: “Fra gli addetti all’Opera della Santa Famiglia vi sono i Fratelli dei voti ed i Postulanti in numero di 25. Essi fanno da maestri, da prefetti ai ragazzi, ed uniti ai preti dell’Opera formano il braccio destro del Fondatore”. NAḤḤĀS, a p. 26 del 2° volume scrive che nel 1890 i membri della S. Famiglia erano 14: Giovanni Di Ferrari, Vincenzo Ponzo, Giovanni Belloni, Pietro Knesevich, Atanasio Radoński, Giovanni Nahhās, Stanislao Knaesevich, Paolo Harūni, Pietro Sarkīs, Giacomo Abocarios, Giuseppe Pastoni, Giovanni al-ʿĀṣī, Giorgio Harūni, Tawfīq Ḏakūr. Altri 23 erano novizi. Nel citato RBA per il 1890 si legge: 8 sacerdoti e 12 fratelli professi, 3 suore, 6 figlie di Maria; e per il 1891: “Il personale presso a poco è lo stesso dell’anno precedente”.
[2] Le “spedizioni” furono 3 in 6 mesi: il 15 giugno vennero solo 2 preti, don G.B.Useo e don R.Coradini accompagnati dal catechista generale don G.Barberis; l’8 ottobre arrivarono sette salesiani (4 chierici e 3 coadiutori) e cinque Figlie di Maria Ausiliatrice; il 29 dicembre altri 16 salesiani. (un solo sacerdote, don Antonio Varaia, 6 chierici e 9 coadiutori), tra i quali l’unico non italiano era il settantenne Adrien Nèple, già notaio in Francia, che poi diventò sacerdote. La cronistoria ufficiale di questa vicenda, dagli inizi nel 1889 al primo viaggio di don Rua nel 1895, la offre don Eugenio CERIA, Annali, 2° vol., pp. 174-187. Per quanto riguarda le FMA, cf PAPA-FABRIZI, in LOPARCO-ZIMNIAK.
[3] “Il padre era amministratore della tenuta del conte De Maistre. Un giorno don Bosco, in visita al conte, passò alla casa dell’amministratore e benedisse una numerosa nidiata di figli: «Preti e monachelle» pare abbia detto. Ebbene, due figli si fecero sacerdoti e le figlie tutte suore: quattro Figlie di Maria Ausiliatrice e la quinta fra le “Vittime del Sacro Cuore”, in Svizzera”: Domenica GRASSIANO, Suor Annetta Vergano, ispettrice, in Eugenio VALENTINI (a cura di), Profili di Missionari Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice. Roma: LAS 1975, p.163.
[4] SECCO, Suor Annetta Vergano, Figlia di Maria Ausiliatrice (1866/1935). Roma: Istituto FMA, 1991, pp. 5, 9-10.
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