Una scuola per rifugiati…

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Carissime e Carissimi, vi inoltro questo breve report pubblicato su AVVENIRE.
E’ una delle (non poche) prove concrete che ci sono (non poche) persone che si danno da fare per tirare fuori dall’inferno le giovani vittime dell’odio e per aprire loro un orizzonte di speranza.
Oggi preghiamo Santa Rita, la santa dei casi disperati e impossibili, che aiuti tutti coloro che si impegnano a rendere possibile un avvenire umano anche per i profughi Gazawi.
«È questa l’unica via per combattere la violenza e il terrorismo. Non ce ne sono altre», dice senza esitazioni lo psicologo dei bimbi di Gaza.
| Luca Liverani, inviato a Rafah | AVVENIRE | mercoledì 21 maggio 2025 |
Al Cairo la scuola dei bimbi palestinesi dove si può vincere il dolore
In Egitto i profughi della Striscia sono tollerati ma non possono iscrivere i figli alle classi statali. Così è nata la scuola Al Marag per 3.500 alunni. Disegni come terapia: «Combattiamo l’odio»
«Una parola bellissima e molto altro, è il mio bel paese. Una canzone bellissima e molto altro, è il mio bel paese. La mia speranza è sempre di tornare e rimanere. Ricordi del passato, il cuore pieno di storie. Impossibile dimenticarti, ogni volta che canto ti penso». Ventitre ragazzini cantano sorridenti “Il mio bel paese”, con la maglietta nuova della scuola e la kefiah stirata poggiata sulle spalle. In prima fila i più piccoli dagli 8 anni in su, in terza fila quelli fino a 16 anni. Dai loro sorrisi non trapela il vissuto difficile – spesso drammatico – loro e delle loro famiglie. Il coro si esibisce nella sala dell’Al Marag Center, una delle cinque sedi al Cairo della Futures Language schools, per l’ultima tappa della Carovana solidale organizzata da Aoi, Arci e AssoPace Palestina, che domenica ha portato al valico di Rafah la delegazione italiana di ong, parlamentari, giuristi.
L’Al Marag Center è la scuola dei bambini palestinesi del Cairo, avviata un anno fa per non fa perdere anni di scuola a chi è scappato da Gaza a inizio guerra. Un polo didattico moderno, per offrire a queste ragazzine e a questi ragazzini una vita il più possibile normale, uguale a quella dei loro coetanei più fortunati. Istruzione, musica, disegno, sport, assieme ad assistenza psicologica e dosi massicce di allegria e socializzazione.
In Egitto sono oltre 100 mila i gazawi. Marwa Abu Daqqa, palestinese, è la direttrice di questa isola di serenità: «La mia famiglia è emigrata qui nel 2006 – racconta – poi ho sposato un egiziano e ora sono anch’io cittadina in questo paese. Il governo egiziano ai profughi palestinesi rilascia un permesso di 45 giorni. Quando scade, non espelle nessuno. Ma non hanno status di rifugiati, non possono avere documenti egiziani, non possono lavorare, né iscrivere i figli a scuola». I bambini palestinesi sfollati potrebbero seguire le lezioni di didattica a distanza organizzate da Rammallah dal ministero dell’Istruzione dell’Autorità nazionale palestinese, «ma può funzionare per un breve periodo, perché un cellulare non può sostituire la scuola. E nemmeno tutti – spiega la direttrice – hanno smartphone e connessioni». Così l’anno scorso nella comunità palestinese del Cairo inizia a prendere forma l’idea ambiziosa di una scuola per i bimbi di Gaza. «Abbiamo aperto sottoscrizioni e raccolte di fondi – racconta la dirigente – e sono arrivate donazioni dalle comunità musulmane del Regno Unito e da Ong americane».
La svolta arriva grazie al dottor Hassan El-Kalla, medico coinvolto in passato nella riforma della sanità pubblica ora attivo nel settore della scuola privata. L’imprenditore mette a disposizione questo moderno e accogliente edificio scolastico, più altri quattro, perché è presidente di Cira Education, grande gruppo egiziano che gestisce 30 scuole con più di 35mila studenti, più tre atenei frequentati da 26 mila universitari. Il sito di Cira spiega che il gruppo «si rivolge al segmento a reddito medio, offrendo programmi di studio premium a prezzi accessibili». Le cinque scuole messe a disposizione per gli alunni gazawi di mattina sono frequentate a pagamento dagli studenti egiziani, mentre il pomeriggio accolgono i bambini palestinesi per i quali è tutto gratis. Al materiale didattico ci pensa il governo egiziano.
«I nostri corsi sono riconosciuti dal ministero dell’Istruzione palestinese – spiega la direttrice Abu Daqqa – quindi i bambini non perdono gli anni scolastici. Gli insegnanti sono a loro volta profughi gazawi. E le mamme degli alunni finalmente hanno tempo per pensare anche a sé stesse oltre che alla famiglia». La scommessa comincia dunque la scorsa estate con la summer school, aperta da agosto a settembre: «Ho diffuso la notizia del progetto pilota – racconta la dirigente scolastica – sui gruppi Whattsapp dei profughi palestinesi del Cairo. Abbiamo avuto 2.400 richieste per 900 posti». Altro boom di domande a ottobre quando comincia la scuola vera: «Oltre 9 mila per 3.500 posti».
La scuola offre materie curriculari, corsi di teatro, musica, disegno, sport. Molto curata l’assistenza psicologica, con corsi di gruppo per il controllo delle emozioni. E assistenza personale quando emergono problemi: «Gli insegnanti ci segnalano i bambini che di notte faticano a dormire. O che hanno difficoltà di linguaggio. Molti sono traumatizzati». I disegni appesi qui in bella mostra servono proprio a questo, spiega il dottor Mahmoud Al Shawi, venuto in Egitto da Gaza la prima volta nel 2014 per frequentare ad Alessandria la facoltà di psicologia e laurearsi nel 2020. Tornato in patria comincia l’attività professionale. Poi, con la guerra un anno fa, la fuga al Cairo. Oggi è coordinatore dei 30 psicologi delle cinque scuole. «I bambini di Gaza disegnano ciò che le parole non possono dire: la perdita della casa, la speranza di vita, il loro amore per la Palestina».
Sui fogli le immagini più diverse. Ci sono i disegni comuni a tutti i ragazzini del mondo globalizzato: Pokemon, unicorni, personaggi dei manga giapponesi. Molti disegnano la bandiera palestinese, il profilo geografico di Gaza, le chiavi simbolo della speranza del ritorno a casa dopo l’esodo forzato della “Nakba” (la catastrofe) del 1948. Ma ci sono anche quelli che disegnano case in fiamme, aerei che sganciano bombe, armi, bambini sanguinanti portati in braccio. Accanto al suo disegno Zena ha scritto “è un mio diritto vivere in pace”. Dina invece “Palestina è un fiore in una foresta di rovi”.
«Vogliamo che questi bambini siano felici – spiega il dottor Al Shawi – ma le notizie da Gaza li spingono di nuovo nella tristezza. Disegnando riescono a dare forma ai loro sentimenti, possono elaborarli e liberarsene». La scuola Al Marag è una scommessa sul futuro. La sfida di chi non si rassegna alla violenza e vuole costruire persone che spezzino la catena dell’odio, un’ipoteca inquietante alimentata dall’ecatombe dei civili uccisi nei bombardamenti israeliani. «È questa l’unica via per combattere la violenza e il terrorismo. Non ce ne sono altre», dice senza esitazioni lo psicologo dei bimbi di Gaza.

Il coro della scuola Al Marag - L.Liv.

A sinistra Marwa Abu Daqqa, direttrice della scuola Al Marag per i bambini di Gaza - L.Liv.

Il capo degli psicologi della scuola, dottor Mahmoud Al Shawi - L.Liv.

Aerei che bombardano e case incendiate nel disegno di un bambino di Gaza - L.Liv.

I bambini disegnano ciò che non riescono a raccontare con le parole - L.Liv.

Sono circa 18 mila i minori morti a Gaza per i bombardamenti israeliani - L.Liv.
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