Storia corta di un tempo che fu…
Foto Piero De Luca
Siamo atterrati a Beirut il 5 di gennaio del 1963, con circa quindici gradi fuori mentre eravamo partiti con quasi quindici gradi sotto zero da Milano. Eravamo a Beirut per ragioni di lavoro di mio padre, come del resto una gran parte dei compagni di classe e di scuola di quell’epoca e devo dire che agli inizi era dura, dura di aver lasciato l’Italia, gli amici e compagni di giochi, le partite a pallone contro squadre di altri rioni e gli allenamenti con il parroco che dava le indicazioni dal terrazzo della casa parrocchiale.
Ho trovato altri sacerdoti, altri compagni, altre facce e altre abitudini, e anche se le materie scolastiche erano più o meno le stesse, la maniera di seguire le lezioni era del tutto diversa.
Venivo da classi di circa 30 banchi di scuola con alcune volte più di un allievo per banco, sempre verso il fondo della classe per non disturbare i cosidetti “secchioni” mentre a Beirut le classi erano al massimo di 12 persone/ragazzi presenti, con classi di cinque o sei alunni come le classi del Professor Vanzo, che curava le elementari in pratica quasi da solo.
Il primo professore che ho avuto è stato don Morra, ovviamente la lezione era Matematica, e quello che più mi ha colpito era il fatto che non riusciva a smettere di “menare” la dentiera da una parte all’altra della bocca con un movimento che si potrebbe chiamare oggi come il “movimento perpetuo”, gran professore e gran simpaticone con un taglio di capelli tipo spazzolone permanente.
Ho imparato, insieme a mio fratello Daniele, a sopportare il caldo in estate, una afa incredibile e talvolta don Pireddu si metteva il famoso fazzoletto bianco in testa con i quattro sacrosanti nodi ai lati per cercare di alleviare il solleone che batteva duro ogni volta che avevamo le ricreazioni.
Ho imparato a balbettare qualche parola in arabo, nonché trovare quel poco di francese che avevo assimilato a scuola in Italia e che era rimasto rinchiuso da qualche parte nel mio cervello. Mi ricordo di tanti, sia di compagni che di professori, don Pradiroux che da buon insegnante di storia della filosofia, faceva scherzi veramente poco “filosofici” e che aveva il record del numero di starnuti al minuto, record che non è ancora stato battuto se non vado errato.
Don Risatti che al minimo filo di vento cercava di racimolare la “chioma” che si alzava per rimetterla a posto, don Filié che faceva fare i giri in vespa ai bambini più piccoli della sezione araba, con la caramella sempre in bocca per nascondere l’odore del tabacco, don Bedon che dall’alto del suo metro e novanta e rotti squadrava in pratica tutti, anche quelli in ultima fila.
Però noi ragazzi eravamo molto attaccati ai chierici, don Gianni, don Scudu, don Nicola, don Dalle Pezze e altri che ho conosciuto meglio una volta che siamo passati da Beirut a El Houssoun, per le vacanze o ferie, tornei di tennis, di pallacanestro, di calcio, di bocce, di biliardino, il teatro e le sceneggiate. Gianni Miggiano con il Nonno che insieme a me e a Roberto Righetti ci spacciammo per una famosa band che non è mai passata alla storia, Dalle Pezze che era Zorro in una farsa in tre atti che avevo scritto e che finimmo dopo il primo atto dato che Zorro e il “nemico” Nicola Masedu riuscirono nell’impresa di spaccare praticamente tutto il telo che faceva da schermo così come i montanti in legno che sostenevano una impalcatura alquanto incerta per certi versi.
Quante risate e quante cappellate, parlo in veneto qui…
Mi ricordo di tantissime cose e fatti e visi e momenti belli come anche momenti meno belli, mi sono rimasti in mente tanta storia e tante persone di quel periodo, di sicuro c’è di mezzo il fatto che eravamo in un paese meraviglioso, ho sempre detto che ho passato più di sei anni di vacanze in pratica permanenti, ma devo anche aggiungere che senz’altro il fatto di essere con i salesiani ha reso la mia vita del dopo Beirut molto più semplice e complicata allo stesso tempo. Complicata perché tornare in Italia dopo Beirut è stato un incubo unico, non mi dilungo, servirebbe un altro libro qui e non penso essere la persona più ad hoc per parlare di certe cose, ma più semplice per quello che i salesiani mi hanno lasciato come eredità, leggere libri e analizzarli, la musica, la facoltà di imparare a essere se stessi, in qualsiasi momento ed in qualsiasi evenienza.
Mi fermo qui, anche se so che ho lasciato dietro tanti dei professori che ci hanno insegnato qualcosa, don Forti e la sua famosa goccia oppure il chierico don Moro che aveva fame anche quando dormiva, don La Leta con il tabacco da annusare, Mariano il cuoco di El Houssoun che riusciva a fare miracoli con tre uova e qualche foglia di insalata, il cuoco di Beirut, di cui non rammento bene il nome ma che lasciava in dispensa le sigarette senza filtro e puzzolenti a dovere e che fumavano in quattro/cinque quando i soldi erano finiti, il primo giorno a scuola con le ragazze, roba da altri tempi e da altri schermi.
Questo racconto mi fa sorridere stamattina!
Era ora che qualcuno ammettesse di fumare a
scuola! Ma soprattutto perche’ tutto e’ vero:
dopo Beirut niente e’ lo stesso, anche i luoghi
lasciati con rammarico per andarci, diventano
noiosi, ed uno si chiede come si farebbe a
‘continuare’. Da tutto cio’ che ho letto sul sito,
vedo sempre lo stesso tema: e’ difficile per tutti
lasciare Beirut dopo le nostre meravigliose esperienze. Ed e’ per questo che ci torno quando posso, per ricatturare un po’ quelle sfumature di un tempo che fu, che non sara’ piu’, ma che vive perennemente nel cuore, custodito per sempre dai ricordi.
Bravo per aver scritto in questo modo:
son sicura che tanti di noi ex ci ‘leggeremo’ nel cuore al seguito del racconto e che sorrideremo tutta la giornata!