SOUVENIRS MUSICAUX DU LIBAN
Fulvio é a sinistra, il Nonno Flavio in centro con la bottiglia e a destra don Gianni – Monteortone 2016
Il testo qui di seguito é stato redatto da Fulvio Rizzitano che é un nostro ex-commilitone in quel della scuola, partito qualche anno prima di noi ma che ha conosciuto, grazie al lavoro del papà, un’altra sfaccettatura della cultura libano-libanese e ce la racconta senza patemi d’animo…
Mi avete detto che mettereste volentieri qualche mio «ricordo» sul sito. Vi prendo in parola; qualcosa l’ho scritta, per timore che la senescenza mi divori la materia grigia. E’ tratto dal manifesto del mio movimento culturale che si chiama SYNAPTICA e si basa sul sincretismo ad oltranza: abbattere i confini geografici e temporali da ogni forma d’arte!
Mio padre aveva deciso. Non ne poteva più dei Kamal-Joumblattisti, delle esplosioni, «delle sommosse e rivoluzioni, della stretta a tenaglia della recessione». Aveva saputo che invece in Italia si stava benissimo: in pieno boom economico… Basta! Ci saremmo andati definitivamente. In Italia. In Italia. In Italia! Oltretutto, il buon Don Severino Libralato ed il preside, che allora era Don Costanzo Giraudo, gli avevano detto che poiché all’estero il liceo si conclude in 4 anni, mentre in Italia ce ne vogliono 5, da quello studente modello qual ero e con una opportuna lettera di raccomandazione (la conservo ancora), in Italia mi avrebbero messo subito in terza liceo! E pensare che fino alla terza media mi davano sempre una o due materie da riparare!
E’ vero, frequentavo con profitto la prima liceo, ma con maggiore profitto avevo formato un complesso con due ragazzi libanesi (i Fratelli Monellini) Teufik e Saadi, matricola all’AUB. Ricchi, come dei veri libanesi, abitavano in una villa alla fine della rue de Lyon (una parallela della rue Hamra). Era li che facevamo un baccano infernale per le prove. Poi c’era Aram, l’armeno, che noi per celia chiamavamo Aramis. Questo ci aveva suggerito il nome del gruppo: Les Mousquetaires. Meglio delle famosissime Chaussettes Noires che erano di origine maghrebina (Pieds Noirs). Noi invece provenivamo tutti dall’Oriente. Aram suonava molto bene la chitarra e per le prove, veniva addirittura dall’Aschrafihe, ma siccome lavorava, (:-)) oltre alla chitarra Gibson e l’amplificatore Fender si era comprato una Dauphine. Non era uno strumento, era una Renault. Oggi, nella pub, si suonano le FORD!
Pure mio nipote Omar a 8 anni, aveva trovato un piccolo logo ellittico della FORD e lo aveva incollato perfettamente sopra il logo “Di Giorgio” della mia chitarra. Per lui, ma anche per me, quella era la chitarra più Ford del mondo.
Aram aveva un amico con una specie di caravan che, quando andavamo a suonare nei locali, si prestava per poche lire (libanesi) a caricare e scaricare tutti i nostri strumenti e posso assicurare che non era poco. Aram era una vera manna dal cielo.
Io, essendo il solista, ero D’Artagnan e suonavo con una ECO elettrica rimediata da Homsi, che allora, aveva l’unico negozio di strumenti elettronici di Beyrouth, all’Avenue Clemenceau : quel lungo viale che saliva dal centro verso Ras-Beyrouth.
Lo percorreva sferragliando, il tram che provenendo da Basta, girava alla Place des Canons, più conosciuta come Place des Martyres, poi passava da Bab Idriss e faceva capolinea alla Rue Bliss, dove nei mesi caldi, scendevano turisti ed autoctoni che cercavano refrigerio e se ne andavano al mare, verso i circoli nautici più “in”, ed oltre, verso i faraglioni del Raouche (le famose grottes aux pigeons).
Il tram passava davanti a tanti cinema, davanti all’ospedale Saint Charles Borromé e all’Università Americana. Lungo quel viale vivevano tanti amici: i De Maria, i Werner, i Turcio. Qui ricordo Filippo Turcio, violinista collega di papà ed i suoi figli Gianni e Ugo, loro pure ex di Don Bosco. Gianni oggi si trova a Melbourne e fa il pianista di professione.
Ci siamo corrisposti recentemente perché ci siamo ritrovati grazie alla newsletter…
Grazie a tutti… Hi Gianni! Merci Diego!
Beh, Homsi vendeva e concedeva in affitto chitarre ed amplificatori, ma voleva delle garanzie. Mi aveva “mollato” la ECO perché conosceva bene papà, ma anche me: andava pure lui al Long Beach, scherzavamo e nuotavamo insieme in apnea con le maschere.
Approfittavo degli amplificatori dei Fratelli Monellini. Ma quella ECO, pur essendo rossa, laccata e scintillante, mi faceva dannare e vergognare, perché non avendo la tecnica delle chitarre Fender, comunque usassi la leva del “tiraggio”, le ultime corde si abbassavano di quasi mezzo tono e stavo sempre a girare le chiavette per accordarla.
Aram grattava a meraviglia l’accompagnamento sul suo “diavoletto” che, non avendo la leva, non aveva quei problemi. Ma per un solista era impensabile fare un “assolo” senza usarla.
Quando siamo andati via dal Libano, potete immaginare quant’era la mia tristezza. Oltre a quella ovvia per gli amici, il mare, le montagne; per me c’era anche la musica.
Pensavo: “Che m’importa se quelli sparano, in fondo, qui si guadagnano dei bei soldini… Comunque non voglio continuare a suonare i brani dei Shadows, Chet Atkins, dei Beatles o delle Chaussettes Noires (chissà se in Italia li conoscono?) devo assolutamente comporre la mia musica.
La mia musica… Qui ci vuole un flash back.
In Libano avevo imparato ad apprezzare la musica libanese, che non é araba, perché oltre agli strumenti percussivi, tipici della musica orientale : il darb dal quale é derivata la tarabùka (dagli stessi radicali d-r-b: picchiare, colpire), agli strumenti etnici a corda pizzicata o plettrata, come il ouud (simile al mandolino), a tutti gli strumentini di bronzo, dai campanelli ai piattini, dai piatti ai gong; e tutti rigorosamente di fabbricazione turca (i batteristi di tutto il mondo, in quel tempo, non avevano altri piatti se non i Kindjan o i Zildjan)…
Risolvo l’anacoluto : oltre agli strumenti orientali, la musica libanese ha tutti gli strumenti di una orchestra sinfonica occidentale, in quanto LA MUSICA LIBANESE HA L’ARMONIA.
Poiché sono abituato a parlare con chi ama la musica ma non ha avuto il modo di approfondirla, vorrei brevemente spiegare che cosa sublime é l’armonia. Tecnicamente, le note sono dodici: le sette che tutti conosciamo e cinque cosiddette “accidenti” (i tasti neri del pianoforte). Più note di nome diverso, suonate allo stesso tempo, secondo alcune regole, formano un accordo. Una sequenza di accordi diversi in base a tanti canoni quanti sono gli stili ed altre logiche, formano l’armonia.
Immaginate per un momento un grande un coro di Alpini che cantano tutti con lo stesso identico spartito. Tutti all’unisono. Risultato? Quasi una voce sola, fortissima, e priva di armonia. Ebbene, quella ERA la musica araba fino a quasi trenta anni fa.
Un esempio: Omm Kalsuum, la celeberrima cantante egiziana, riverita e adorata in tutto il mondo arabo (circa 300 milioni di “terrestri”) e musulmano (quasi due miliardi!).
Anche se in arabo si scrive Umm (madre), OK per gli arabi significava… Omm Kalsuum. OK che, a tutt’oggi, ha inciso il maggior numero di dischi in lingua araba, aveva una grande orchestra, e tutti i suoi brani erano assolutamente privi di armonia.
I violinisti seguivano tutti la stessa linea melodica, creando a volte del ritmo, ma più spesso rispondendo alla melodia della cantante o facendole il verso, tutti con la stessa identica linea melodica. I violoncelli idem, in una o due ottave più basse. I contrabbassi davano molto ritmo, reiterando la stessa nota, e senza mai discostarsi da quanto veniva espresso musicalmente dal canto.
Oltretutto, la famiglia strumentale degli archi (tutti gli strumenti suonati con un archetto) é l’unica che può eseguire la musica araba, in quanto questa AVEVA una scala musicale fatta non solamente da mezzi toni, che compongono un’ottava di dodici note, ma anche dai quarti di tono, detti “sikaat”, che si possono emettere solamente con la voce umana o con gli archi, ma bisogna essere “bravini”. Su un pianoforte non ci sono. Molti sofisti asseriscono che poiché le scale arabe sono diverse, é la loro stessa diversità a costituire il principio dell’armonia. Ma devo assolutamente dire che non sono d’accordo.
Papà, essendo un violinista, veniva spesso chiamato per registrare dei brani di Samir, ad esempio, che cantava nello stile tipicamente arabo, come quello di Omm Kalsuum.
E poiché sapeva che mi piacevano gli studi di registrazione, mi portava con lui.
La musica non m’interessava: io mi divertivo a vedere quello che facevano i tecnici. Poi un giorno, per la prima volta, l’ho accompagnato per una registrazione di un brano dei fratelli Rahbàni, che avrebbe cantato Fayrouz (la moglie di Fadi Rahbàni).
Sarà perché quello studio, situato di fronte al mare, presso Tabarja, era veramente suggestivo, sarà perché vedevo e sentivo l’eccitamento dei tecnici, per la presenza di Fayrouz, che aveva moltiplicato la loro efficienza. O forse perché quella consolle di missaggio, bella da morire, era stata montata dai tecnici della CBS, venuti da Hollywood, o certamente perché il sistema di riproduzione sonora nella vasta cabina di regia era quanto di più avanzato avessi visto e sentito (mai viste colonne di altoparlanti così grandi!) sta di fatto che quando si sono accese le luci rosse, e nel silenzio, la grande orchestra ha iniziato a suonare ho subito provato dei brividi. Poi sono stato letteralmente investito dalla profondità e dalla estensione di quei suoni, dall’immediatezza dell’arrangiamento.
Ve lo giuro: non solo brividi, avevo le lacrime, io… piangevo!
Era un tre quarti di una bellezza incomparabile e che ricorderò per tutta la vita: “Al yaum saràkna al shams”. (Il giorno che ci rubarono il sole).
Ai Rahbàni hanno rubato il sole, mentre a me é scomparso il nastro con quel brano… In altri dialetti “shams” si scrive senza la “S” finale. Ma “Shaam” e “shaami” si riferiscono sempre alla toponomastica ed alla lingua del Medio Oriente; della Siria in particolare.
Per questo, ho ricercato quel brano con e senza la “S”, con una “O” invece di “AU”, insomma, l’ho disperatamente cercato, anche da esperto internauta: MA FISH!
Carissimi, quel giorno ho veramente colto la straordinaria potenza dell’armonia! Da allora ho cominciato ad apprezzare tutta la musica sinfonica.
In Libano ho lasciato un pezzo del mio cuore, ma il Libano mi ha dato in cambio un pezzo di quello suo. Kan zamàn lakin kan, ya sàtir: kan u biiàda KAN!
E nei giorni dai bioritmi più alti lo interpreto ancora: anche fischiettando se non ho uno strumento a portata di zampa.
Salamàt, ya aìni!
Fulvio
CI HANNO SCRITTO