IL CORTILE SSB
Sergio Daneluzzi
Sergio Daneluzzi, nato per caso in Liguria, nel 1960. Padre veneto-friulano e madre lombarda. Sono stato “interno” dai Salesiani di Beirut per 4 anni, dal 1971/72 al 1974/75 incluso e sono stato l’ ultimo – con il mio compagno di camera – a potermi fregiare in senso tecnico di questa qualifica.
Lavoro a Milano e torno a casa sul lago di Como nei weekend. Meno male che c’è il lago…
1. Com’era Beirut ai tuoi tempi e quali sono i tuoi ricordi più importanti di allora?
Questa è una domanda a cui credo di avere già in qualche modo risposto ne “La mia storia” sul sito. I ricordi sono legati sia all’incredibile atmosfera della città sia alle vicende della scuola. Da giovani le cose si vivono in modo comunque più intenso, ma quella città era intensa e vivace di suo. Non ho mai più sperimentato nulla del genere. I ricordi sono ricordi di atmosfere, di sensazioni, forse più che di fatti o luoghi precisi.Poi ci sono naturalmente anche quelli.
Per anni e anni ho sognato la mia camera di Collegio, cui mi capitava di ritornare nel sonno dopo vicende oniriche magari complesse e per niente legate a quei tempi o a quel contesto. A un certo punto nei sogni hanno iniziato persino a sovrapporsi la camera di Beirut e la camerata della mia caserma in Friuli. Ogni tanto nel mio inconscio si apre una porticina, e sono di nuovo lì…
Mi ricordo le uova strapazzate della colazione che mi preparava Jaber – il cuoco siriano – uova che accompagnavo con abbondante caffè nero prima di andare a lezione. Mi ricordo il balcone da dove osservavo il movimento in cortile o guardavo il cielo notturno ascoltando la radio. Mi ricordo la sabbia del campo di calcio e il duro cemento del campo di basket. Mi ricordo il calcio balilla sotto il portico e gli hot dog di Afif. Mi ricordo il grosso pullman verde acqua che ci portava a fare entusiasmanti – specie quando c’erano le ragazze – gite in località di cui ora non ricordo nulla. Mi ricordo di quella volta che provai a sciare a Faraya senza sapere né frenare né girare, e mi ritrovai con la testa immersa nella neve proprio come in un cartone animato. Mi ricordo di un campeggio in tenda con Claudio Cordone e Don Pireddu a El Houssun.
Mi ricordo di tante persone e personaggi – e di scenette anche minime: Father Leahy che dice “Il piove scenderà” intendendo che avrebbe piovuto. Don Paoloni che dice che la maglia della Juventus è stata copiata da quella dell’Udinese. Brother Dell che ammette Claudia Cardinale essere proprio bbona.
Se dovessi fermarmi a pensarci potrebbero venirmene in mente tanti altri. Sono tutti ricordi della scuola e della città fremente che la circondava e alla quale potevo accedere solo in parte, ma che cercavo di immaginare. Ogni tanto mi chiedo che fine abbia fatto quel povero storpio che, fuori dalla scuola, vendeva Chiclets ai passanti. A Beirut si potevano percepire anche tanta povertà e sofferenza, squilibri sociali eccessivi e spesso offensivi.
2. In che modo pensi che gli anni di scuola a Beirut abbiano influenzato la tua vita successiva?
Domanda difficile. Credo tantissimo. Nella mia memoria è un po’ come se prima di Beirut non ci fosse nulla. Ci sono arrivato a 11 anni, subendo uno spaesamento piuttosto pesante. Credo che la mia personalità – a parte il portato della prima infanzia – si sia formata lì. Spesso mi sono chiesto se gli anni di Beirut, al di là del ricordo circonfuso di luce, mi abbiano fatto bene o male. Ho anche pensato talvolta che quella non era certo e non poteva essere un’esistenza “normale” per un ragazzo di quell’età.
Non sono mai stato in grado di darmi una risposta soddisfacente. Per certi versi quegli anni mi hanno aperto la mente in modo decisivo, e me ne sono poi accorto tornando in Italia, paese che era e che resta provinciale. Per altri mi hanno reso una persona complicata e diversa, difficile da integrare nel mondo “vero” e prosaico della vita di qui. E’ come se io fossi stato formato a un incarico non più esistente (chissà se è per questo che mi piace tanto Il Libro dell’Inquietudine di Pessoa?).
Ogni tanto penso che se non fossi mai stato a Beirut avrei forse potuto avere una vita più facile e più ricca di soddisfazioni qui in Italia, da molti punti di vista. Però naturalmente non sarei io. E non proverei quel brivido di eccitazione che mi coglie tutte le volte che salgo – purtroppo non troppo spesso – su un aereo per fare un viaggio, di qualsiasi tipo.
Non ho mai “abitato” in senso proprio a Beirut, sono sempre solo stato in collegio, con una breve parentesi di un paio di mesi. Però certo, anche se ormai non saprei più orientarmi neppure nelle strade più vicine alla scuola, in qualche modo quel luogo rimane, forse soprattutto a livello inconscio, il centro emotivo profondo della mia vita.
3. Con quali persone di allora sei rimasto in contatto in questi anni?
Non molte in verità, a parte qualche incontro negli anni immediatamente successivi. Inizialmente ero in contatto epistolare con qualche compagno e compagna di classe, ma poi il tempo – come è sua consuetudine – ha allentato tutto. Vite forse troppo diverse e geograficamente lontane.
Sono stato felice di ritrovare alcuni di loro a Roma e spero che non riperderemo i contatti. Mi sono reso conto solo adesso di quanto mi fossero mancati e di quanto sarebbe stato più bello poter crescere con loro.
Un discorso a parte va fatto per il mio ex compagno-di-camera Claudio Cordone, con il quale a Beirut ho condiviso molte cose e che resta il mio amico più antico e sicuro, anche se siamo – come già eravamo, e non solo nell’aspetto fisico – diversissimi. Per la maggior parte di questi 30 e più anni abbiamo coltivato un epistolario che ha assunto dimensioni ciclopiche e che se mai dopo la nostra morte dovesse essere pubblicato – ammesso che potesse mai interessare chicchessia – impegnerebbe un curatore per lunghi mesi. Ultimamente, dopo il passaggio dalla carta alle mail, il flusso della corrispondenza si è rarefatto fino quasi a scomparire.
Claudio ha troppo lavoro e io sono sempre più pigro. Inoltre forse è terminata la fase delle nostre vite in cui avevamo molte cose da raccontarci e la voglia di farlo. In tutti questi anni ci siamo rivisti varie volte, anche se non molto spesso. Ogni tanto mi telefona. Quando due anni fa a Roma aspettavamo con ansia, seduti al tavolino di un bar, di intravedere Marina e Carla Rotta Loria, con cui avevamo appuntamento per uscire a cena dopo 33 anni, eravamo di nuovo assolutamente gli stessi che dal balcone della camera di Beirut spiavano pieni di aspettative il loro arrivo in cortile, e avevamo di nuovo 15 anni. Va evidenziato che Marina e Carla sono ancora assolutamente belle come allora.
Con e senza Claudio, ho rivisto varie volte anche Giuseppe Pigozzi, un caro amico che è sempre bello ritrovare e che, come me, ha dovuto affrontare l’Italia, anche se l’ha fatto sicuramente con maggiore bonomia. Ci siamo rivisti a Verona, a Milano e altrove, e ci siamo sentiti abbastanza spesso. Da un po’ di tempo gli prometto che vado a trovarlo e poi, per un motivo o per l’altro non lo faccio mai. Ma giuro che lo faccio.
Quando abitava a Milano, ho rivisto anche Berta Araman, siamo andati una volta a Verona per fare una sorpresa a Giuseppe e siamo usciti insieme qualche volta. Peccato non averla frequentata di più. Una ragazza speciale.
4. Saresti rimasto a Beirut dopo aver finito la scuola? E pensi che la tua vita sarebbe stata diversa?
Ho sempre saputo che quella di Beirut sarebbe stata una parentesi scolastica in attesa del ritorno in Italia. E’ però anche vero che mio padre dopo il 1975 lavorò per vari anni in Siria e che se non ci fosse stata la guerra avrei probabilmente potuto finire il liceo a Beirut. Credo che sarebbe stato bello. Sicuramente molto di più che non stare in collegio a Bergamo, in quelli che sono stati gli anni più problematici e insulsi della mia vita. Restare a Beirut per abitarci? Non ci ho proprio mai pensato, anche perché, come ho già detto, non ci ho mai “abitato”. Non riesco a immaginarmi a Beirut dopo la scuola, però posso pensare che, in una vita completamente diversa, avrebbe potuto essere un’esperienza assai felice.
5. Pensi un giorno di ritornare in Libano? E se si o no, perché?
E’ molto difficile ritornare in un luogo così carico di ricordi dopo più di 30 anni. La delusione è in agguato. Potrebbe rivelarsi un posto come un altro, così come potrebbe avere un devastante impatto emotivo, difficile da sostenere. Forse è bene lasciare il passato al passato, per non rischiare cortocircuiti. I luoghi della propria giovinezza non possono mai essere gli stessi di allora, e in genere sono peggiorati.
Mi costa fatica anche tornare a Venezia, dove tanti anni fa passeggiavo in modo estatico per intere giornate beandomi delle diverse gradazioni della luce sulle chiese e sui palazzi: non è più la stessa cosa, adesso tutto mi sembra privo di magia.
Devo anche dire però che ritornare a Beirut con un gruppetto dei compagni di allora potrebbe essere un’esperienza speciale. Forse con loro lo potrei fare.
6. Sei interessato/a a partecipare a riunioni future di ex-allievi? Cosa ti è piaciuto o non piaciuto in quelle degli ultimi anni? Quali sono i tuoi consigli in merito?
Al di là di quello che possa essere piaciuto o non piaciuto, si può soltanto provare riconoscenza per chi ha messo in piedi i raduni, con uno sforzo organizzativo notevolissimo. Ho apprezzato molto di più il secondo, ma solo perché c’era un maggior numero di miei compagni e mi sentivo quindi molto più a mio agio. Probabilmente, per la partecipazione a eventuali futuri raduni, la loro presenza sarebbe la condizione necessaria.
Una cosa mi sentirei di dire. In una città ricca di ottime trattorie come Roma sarebbe stato forse meglio ritrovarsi per il pranzo in qualche simpatico locale (o in più locali), senza costringere la Casa Salesiana a un intervento straordinario di ristorazione che non era forse pienamente attrezzata a sostenere.
7. Cosa pensi di questo sito web e come lo vorresti?
Secondo me il sito va benissimo così. Il webmaster è un soggetto pieno di risorse tecniche e umane e ha gradualmente migliorato il sito fino alla forma attuale. Mi interessa che ci sia spazio per i ricordi e le loro rielaborazioni. Continuo a non capire perché tante persone ancora non abbiano sentito il bisogno di scrivere la loro storia perché gli altri possano sapere cos’è successo loro in tutti questi anni.
Apprezzo anche quelli che riescono a ricordare chi non c’è più, e mi è piaciuta molto la scheda di Salvatore Cataldo su Don Paoloni, che ricordo con affetto. Direi che il sito ha ormai il vento in poppa, e che il torrenziale diario di viaggio di Paola è stato il momento scatenante di una nuova fase, che mi soddisfa assai più della precedente. Spero di poter leggere molti altri contributi interessanti in futuro.

TRE MINUTI CON...
- Andre Marusso
- Bruna Brughera
- Bruna Vicinanza
- Dario Amadeo
- Ettore Perego
- Flavio “Nonno” D’Andria
- Francesca Kikka Silli
- Fusco Maria Antonia (TONIN per tutti anche adesso per gli amici!)
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- Laura Rustico
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- Maria Laura Pedone
- Maurizio Cherchi
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- Stefano Littera – Real Gipsy