PRETI SPOSATI : CI POSSONO ESSERE ANCHE NELLA CHIESA LATINA, UOMINI SPOSATI AMMESSI AL SACERDOZIO?

da | 20/03/2017 | SACERDOTI E CELIBATO | 1 commento

FOTO Joshua Earle


Qui di seguito una “serie” di domande su di un tema abbastanza particolare per non dire delicato, sono soltanto alcune riflessioni iniziali e, per carità, niente di definitivo e di completo né tanto meno di dogmatico. Solo un contributo a un dibattito che vorremmo intavolare con tutte e tutti voi, ex-allievi o meno nessuna importanza, dibattito che per il momento è sopratutto limitato a un raffronto fra Chiesa Cattolica Romana/Latina e altre Chiese Cattoliche “gemelle”.
Volutamente non ho allargato il discorso ad altre Chiese non-Cattoliche (per ora …).

Diteci la vostra, quello che pensate o meno, fate partecipare anche i sacerdoti delle vostre parrocchie rispettive, o anche persone che hanno sempre avuto un’idea in proposito, che hanno altre ipotesi o probabili soluzioni. Potete inviare tutte le vostre testimonianze e idee in merito al nostro webmaster Diego, info@scuola-salesiani-beirut.org – webmaster@scuola-salesiani-beirut.org, pubblichiamo tutto e tutti, grazie.

Gerusalemme, Marzo 2017

Don Gianni

Salesiano, SSB

Dibattito aperto su “Preti sposati”

CI POSSONO ESSERE ANCHE NELLA CHIESA LATINA, UOMINI SPOSATI AMMESSI AL SACERDOZIO?

Un dato di fatto. Nelle Chiese Cattoliche di rito Maronita, Greco-Melkita, Greco-Albanese, Bizantino-Ungherese e Bizantino-Ucraino e alter vige la norma canonica che permette ai seminaristi maggiori di sposarsi e poi ricevere l’ordinazione sacerdotale, cioè prima coniugati poi preti. Questa è la norma canonica e la prassi vigente, da secoli!

Spiego: i giovani candidati al presbiterato appartenenti a queste Chiese/Riti, vengono preparati nei seminari durante un curricolo pluriennale di studi e di formazione biblico-teologica, pastorale, spirituale ecc. Terminato questo periodo, possono scegliere liberamente o il sacerdozio celibatario, oppure il sacerdozio coniugato o “uxorato”. Nel primo caso vengono consacrati preti quasi subito. Nel secondo caso, prima si (fidanzano e) sposano, e per alcuni anni (da 3 a 5 nei diversi Riti) vivono come sposi e padri, dimostrando con prove di fatto (“viri probati”) di saper gestire la loro famiglia, come “chiesa domestica”. Ricevono poi l’ordinazione presbiterale e vengono assegnati a svolgere il ministero pastorale come responsabili di una comunità/chiesa parrocchiale.

Dunque nelle suddette Chiese Cattoliche esistono di diritto e di fatto gli sposati preti.

E siccome il matrimonio è una vocazione e un sacramento (cioè segno della unione fra Cristo Sposo e la Chiesa Sposa), penso che essi si accostino a questa scelta nell’atteggiamento di chi intende risponde a una chiamata che viene prima di tutto da Dio stesso, e poi dalla Chiesa.

Domanda: sono preti migliori o peggiori dei celibi? Non restano forse troppo esposti al pericolo di anteporre gli interessi della loro famiglia a quelli della comunità ecclesiale? La loro “mobilità”, cioè la disponibilità ad essere trasferiti da una parrocchia all’altra, non risulta troppo limitata?

Rispondo: posso dire solo quanto so per esperienza diretta. Vivo nel Medio Oriente da 54 anni (e, tra parentesi, sono prete felicemente consacrato con i voti di castità, povertà e obbedienza, senza rimpianti, grazie a Dio, avendo accolto la vocazione a rappresentare Cristo celibe). Tra i miei allievi seminaristi maggiori ho avuto, e tuttora ho, giovani di rito Cattolico Maronita, Greco-Melkita, Siro-Cattolico, Bizantino-Ungherese che si sono sposati e poi son stati ordinati presbiteri. Nella vita quotidiana, poi, ho incontrato preti uxorati di tutti questi vari riti, non solo qui in Medio Oriente, ma anche alcuni di rito Greco-Albanese nella Pentarchia di Piana degli Albanesi in Sicilia (essendo originario di Palazzo Adriano, uno dei cinque paesi, in cui “Latini” e “Greci” convivono). Questo mi fa dire, realisticamente parlando, che quei preti non sono né migliori né peggiori dei preti Latini celibatari. Quanto al rischio dell’attaccamento esagerato alla propria famiglia “biologica”, è un rischio che corrono tutti, compresi i preti degli istituti religiosi, non solo qui in Medio Oriente o in Africa, ma anche in Europa o in America! Quanto ad inamovibilità di non pochi parroci Latini, basta guardarsi attorno o, meglio ancora, chiedere ai Vescovi quanto fatica facciano ad assegnare trasferimenti!

Vengo ora alla domanda sulla quale di recente una intervista di Papa Francesco ha dato l’occasione per aprire una riflessione e un dibattito. Ci si chiede: perché la Chiesa Cattolica Romana di Rito Latino non potrebbe avere lo stesso sacerdozio uxorato, di diritto e di fatto, simile a quello vigente nelle suddette Chiese Cattoliche non Latine? Non basterebbe riformare il Codice di Diritto Canonico su questa materia, che è solo disciplinare, non dogmatica?

Rispondo: tralascio per ora di soffermarmi su uno dei dati storici: in epoca apostolica anche in essa vigeva la stessa disciplina e la stessa prassi. (Con una battuta sbrigativa qualcuno dice: anche san Pietro era sposato e molti dei collaboratori di San Paolo lo erano, benché lui no).

Veniamo all’oggi: si potrebbe adottare la stessa disciplina canonica e offrire anche ai giovani candidati al sacerdozio di Rito Latino la stessa possibilità di scelta: o prete uxorato oppure prete celibe? Quali sarebbero i vantaggi e gli svantaggi o controindicazioni? Quali gli scopi che si vorrebbero raggiungere? Sono scopi prevalentemente utilitaristici = si verrebbe incontro alla mancanza di vocazioni al sacerdozio ministeriale? Sarebbe un modo di prevenire, alla radice con una formazione più integrale, fenomeni devianti come “preti concubini”, pedofili, “spretati e sposati”…?

Qualcuno suggerisce questa alternativa: perché non andare sul sicuro, ordinando uomini già sposati e con figli, maturi di anni e di esperienza, cioè i cosidetti “viri probati”?

Rispondo: non ho niente in contrario, provato che abbiano una preparazione biblico-teologica adeguata, e non siano soltanto capaci di gestione o di leadership. Tuttavia dal mio punto di vista ritengo che questa soluzione sia solo un ripiego tattico di corto respiro, per tappare buchi in situazioni contingenti. Mi sembra un escamotage al punto di arrivo, ma soprattutto una mancanza di coraggio ad affrontare la domanda centrale, in linea di principio, dal punto di partenza, e cioè: se le altre Chiese Cattoliche (che sono in piena comunione con Roma; che sono guidate dallo stesso Spirito Santo; che affrontano gli stesse sfide poste dalla cultura contemporanea …) hanno di diritto e di fatto, questa norma e prassi, perché la Chiesa Latina non potrebbe adottarla? Non possiamo imparare qualcosa di valido da queste nostre Chiese, che possiamo chiamare non solo sorelle ma gemelle (se mi è permesso)? Perché non riconoscere anche ai “seminaristi maggiori” di Rito Latino, il diritto e la possibilità di discernere quale sia la forma di presbiterato alla quale il Signore li chiama: celibe oppure uxorato? Non diventerebbe forse una forma di responsabilizzarli più concretamente sia circa la vita coniugale e familiare, sia circa il ministero sacerdotale? Cioè sia riguardo al sacramento del Matrimonio che a quello dell’Ordine? …

 

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