I pessimi dati italiani su scuola, istruzione e salari

da | 11/09/2017 | CONCETTI E PERCEZIONI | 0 commenti

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Il governo, le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, dovrebbero insieme studiare iniziative capaci di frenare la dispersione scolastica perché solo in questo modo si potrà conseguire uno sviluppo economico sostenibile del Paese con il pieno impiego e salari decenti.

In più occasioni, e da più parti, è stato posto l’accento sul ruolo fondamentale della scuola per assicurare uno sviluppo economico e sociale sostenibile del Paese. Viviamo ormai in un una “società della conoscenza” e solo sapendo adeguarci alle sue esigenze, la nostra economia potrà competere con successo in un mercato globalizzato.

L’impresa di grandi dimensioni ha le risorse per realizzare al proprio interno attività di ricerca e sviluppo (R&S) e, conseguentemente, di innovare costantemente processo e prodotto.

Questo purtroppo non è sempre vero per le imprese di piccole dimensioni, sempre più numerose nel nostro Paese, ameno che esse siano capaci di collaborare tra loro. Cosa che, fino ad oggi, si è rivelato difficile. Nel 2015, la spesa per le R&S nell’UE è stata pari al 2,03% del Pil. In Italia è stata dell’1,33%, contro il 2,87% della Germania. Questo fenomeno è anche legato a quello della scuola.

Lo studio è considerato un diritto e un dovere. Studiare è molto importante perché l’istruzione serve a migliorare la società, a fare rispettare i diritti delle persone, a vivere con dignità, a rendere concreta l’uguaglianza tra tutti. Per la Costituzione italiana la scuola è aperta a tutti e lo Stato deve fornire un’istruzione pubblica. Ai nostri giorni, finita la scuola d’obbligo, lo studente può decidere di continuare gli studi per ottenere il diploma di scuola di secondo grado che permette di iscriversi all’università. Gli studenti meritevoli o con reddito basso, non pagano le tasse d’iscrizione all’università e possono ottenere una “borsa di studio” o altri benefici, come ad esempio un alloggio durante il periodo di studio. Il tutto, però, dipende dalla capacità di sfruttare queste opportunità perché in Italia un numero considerevole di giovani non arriva fino alle scuole superiori e all’università. E’ la pubblica amministrazione che deve saper mettere in pratica iniziative capaci d’indurre i giovani a continuare gli studi.

Uno dei traguardi principali della strategia Europa 2020 è proprio quello di abbassare al di sotto del 10% la percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandona prematuramente gli studi o la formazione professionale. In Italia, la percentuale dei giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandonano precocemente la scuola, non conseguendo diplomi di secondo grado né attestati di formazione professionale, è intorno al 15%, con una percentuale del 20,2% per i maschi e del 13,7% per le femmine. Un dato negativo rispetto alla media europea (13,6% maschi, 10,2% femmine). In Italia esistono evidenti difficoltà per raggiungere l’obiettivo europeo del 10% entro il 2020.

Va anche detto che, i nostri laureati hanno spesso difficoltà nel trovare lavoro in Italia mentre, grazie all’alta qualità delle nostre Università, lo trovano con facilità all’estero. Il fatto è che, molte piccole imprese, che occupano la maggioranza dei salariati, non hanno sempre le capacità di innovare il processo di produzione con l’utilizzo di nuove tecnologie e con personale adeguato. Per questo, che nel nostro paese, si registrano livelli salariali tra i più bassi dell’Unione europea.

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