Perché sono sempre innamorato della mia missione…
Foto Ricevuta
Se resto un prete innamorato della mia missione salesiana per i giovani, lo devo anche a quel ragazzo…
C’era un ragazzo di 14 anni nella scuola salesiana di Beirut, un allievo della sezione Italiana, “semi-interno”, al quale piaceva più il gioco che lo studio; aveva qualche anno in più rispetto ai suoi compagni di classe …
Nel pomeriggio, quando giungeva l’ora di terminare la ricreazione e tornare in aula per lo studio personale era sempre il primo a infilare il portone e salire le scale laterali.
Ma quando giungevo con tutti gli altri in classe lui non c’era più: aveva già percorso il corridoio e sceso le scale centrali.
Accertato che gli altri iniziassero a studiare o fare i compiti, scendevo nuovamente in cortile
dove individuavo presto quel ragazzo alto, capelli lunghi ondulati, ora mescolato al gruppo dei Libanesi e Inglesi che facevano la loro ricreazione.
“Carlo andiamo, hai già giocato abbastanza, è ora di studiare!”
Era sempre lui a risalire per primo e questa volta prendeva posto al suo banco, … rassegnato.
Così quasi ogni giorno, da Lunedì al Venerdì.
Qualche volta c’era da perdere la pazienza.
Si avvicinava la festa della Madonna di Maggio: prima che terminasse l’ora di studio invitai tutti a partecipare per i canti, la processione, l’illuminazione sul cornicione della terrazza e alle finestre …
“Don Caputa, posso venire anch’io ?”
“Perché no ?!”
Per alcuni giorni, carta colorata da tagliare a strisce, bandierine, rudimentali fiaccole di stracci imbevuti di cera e di mazut, dentro lattine …
Venne la festa di Maria Ausiliatrice. La notte, che spettacolo, che allegria!
Gli “interni” si sentivano i protagonisti, “giocavano in casa”; ma anche Carlo si sentiva uno di loro.
Passata la festa … si riprese il ritmo normale: lezioni, pranzo, ricreazione, ora di studio …
Carlo continuò come prima, e io pure !
Marcatura a uomo, stretta, nonostante il suo nuovo sguardo … un po’ complice.
Un pomeriggio, mentre lasciamo il cortile per risalire in classe, Carlo cammina stranamente dietro di me, poi mi chiede:
“Don Caputa, posso darle del tu ?”
” … Ma certo !”
“Sai Gianni, ho capito che sei un amico!”
Sentii un fiotto di sangue che dal cervelletto mi attraversò la spina dorsale fino ai calcagni.
Non avevo mai e non ho mai più provato una simile corrente calda !
Carlo mi aveva afferrato da capo a piedi …
Ebbi come una folgorazione su chi e perché ero lì.
Sono passati 33 anni:
se resto un prete innamorato della mia missione salesiana per i giovani, lo devo anche a quel ragazzo…
Grazie, Carlo.
Caputa Gianni
CI HANNO SCRITTO