Una riflessione molto interessante e come sempre molto documentata da parte del nostro don Vittorio, un’analisi libano-libanese da leggere e da pensarci sopra!
Una recente ricerca universitaria condotta nell’ambito della facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università libanese, dal titolo: “L’immagine dell’altro negli studenti libanesi”, ha interessato, mediante sondaggio, parecchie centinaia di liceali dell’ultimo anno, con lo scopo di individuare la percezione che essi hanno dei loro concittadini appartenenti ad un’altra confessione. Ne è risultato un quadro interessante per capire meglio le dinamiche che agiscono nella società libanese, multi-etnica e multi-religiosa.
A partire dal 2019, anno in cui è scoppiata l’attuale grave crisi che investe il Paese in tutti i campi, si nota un’accentuazione del divario esistente nel campo sociale, politico e comunitario. Nonostante ripetuti appelli da varie parti all’abrogazione del confessionalismo, si nota che l’apprensione dei Libanesi, degli uni verso gli altri, secondo la loro appartenenza religiosa o comunitaria, anzi tra comunità della stessa religione, rimane una costante, rafforzata dalla guerra civile (1975-1990).
Fattori politici, religiosi, economici, sociali e culturali incidono sull’immagine dominante dell’altro, appartenente a una comunità diversa. Questa percezione è al tempo stesso differente e non reciproca, e dipende in gran parte dalle caratteristiche che si attribuiscono alla tale o talaltra comunità o alla percezione di una potenziale minaccia politica.
La maggior parte dei giovani sunniti, sciiti e drusi intervistati, manifesta sentimenti piuttosto positivi nei confronti dei cristiani, in un contesto di divisione politica e percezione di emarginazione da parte di questa comunità, soprattutto per l’attuale vacanza della presidenza della Repubblica, riservata tradizionalmente a un cristiano maronita. Solo gli Armeni vengono esclusi da questa valutazione positiva, benché non siano stati coinvolti direttamente nella guerra civile. Viene loro rimproverato l’eccessivo ripiegamento comunitario. Del resto, lo stesso rimprovero, a torto o a ragione, viene rivolto ad altre minoranze (drusi e alauiti). Tra le comunità cristiane, i greci cattolici sono ritenuti i più aperti da parte dei giovani musulmani.
Passndo al campo cristiano, i giovani intervistati esprimono un atteggiamento globalmente negativo nei confronti dei musulmani. Tra l’altro, rimproverano loro di aver escluso i cristiani dal potere politico e dalla pubblica amministrazione. Non che questa percezione negativa riguardi tutti i musulmani, ma la forte polarizzazione politica attuale e il ruolo ritenuto predominante e condizionante di Hezbollah nella vita politica del Paese la stanno accentuando.
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Va pure notato che queste percezioni non sono costanti, fisse e rigide, ma variabili con il variare delle congiunture politiche e delle alleanze inter-comunitarie. Anni addietro, ad esempio, la percezione sarebbe stata certamente diversa, anche perché le divisioni politiche inter-cristiane erano più deboli.
Quali conclusioni trarre da questa inchiesta? Il carattere evolutivo di queste percezioni evidenzia la possibilità di agire su queste rappresentazioni per attenuarne le dimensioni negative. L’educazione e la formazione alla cittadinanza sono la chiave. Ora si nota, analizzando testi di educazione civica, di storia, di sociologia, di letteratura araba, francese e inglese, che veicolano senz’altro i valori di convivialità, tolleranza, rispetto del diverso, unità nazionale e patriottismo, ma lo fanno perlopiù in modo vago e poco stimolante. Per esempio, poco o nulla si parla dei problemi confessionali o comunitari che intaccano l’unità nazionale e degli atteggiamenti opposti e contraddittori degli autori nei confronti della laicità e della religione.
Ne consegue che questi valori non vengono assimilati e interiorizzati dai ragazzi e dai giovani, per cui gli atteggiamenti nei confronti delle altre comunità stentano a cambiare. Benché il confessionalismo politico libanese riconosca la diversità culturale della società, la paura di perdere la propria identità e la propria influenza pesano nel contesto storico, politico e regionale attuale, dove ognuno cerca di far riconoscere i propri interessi e le proprie particolarità.
Promuovere esplicitamente i valori comuni alle varie comunità permetterebbe di non sentirsi obbligati ad amputare una parte della propria identità per una migliore inserzione sociale e pure di attenuare i conflitti identitari, nel quadro della creazione di uno spazio comune inter-comunitario. Quod est in votis. E noi, Salesiani, operiamo in questo senso, accogliendo tutti senza alcuna discriminazione e favorendo la mutua integrazione sociale.
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