Lettera ai Don

da | 14/10/2009 | IMMAGINI DI MEMORIA | 1 commento

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Da un italiano levantino nel 2007

Carissimi Don,
Correva l’anno 1974, quando finalmente anche io venivo dichiarato maturo. Era un momento molto importante, perché mi si aprivano le porte del mondo.

Con l’alibi dell’università, da buon italiano levantino, sognavo di iscrivermi  presso una università in Italia, e così, raggiungevo il mio obiettivo, quello classico di ogni diciottenne che non vede l’ora di essere totalmente indipendente, libero di uscire quando vuole.

E così, dopo i saluti, gli abbracci, gli scambi di indirizzi, ognuno si preparava a trascorrere le meritate vacanze estive, per poi affrontare la nuova vita, quella dello studente universitario.

Tanto, in cuor mio, sapevo che in caso di difficoltà, c’era sempre la mia casa, a Rue Verdun, Immeuble Chafik Abdel Mouna, dove avrei potuto fare ritorno, e,…. nella peggiore delle ipotesi avrei sempre potuto rimanere ben comodo, servito e riverito, ed iscrivermi all’AUB.

Lo confesso, non sono mai stato un grande studente, e mi sono sempre accontentato della sufficienza.

E così, nel luglio del 1974, prendevo il mio aereo per Roma, dove finalmente ero LIBERO, e non dovevo piu’ rendere conto dei miei orari a nessuno.

Però, non sapevo che cosa mi avrebbe riservato il futuro. L’inizio della guerra avrebbe completamente stravolto i miei piani, e così, senza neanche rendermi conto, diventavo uno dei tanti beduini erranti, profugo nella propria terra ufficiale, alla ricerca di una terra che avrebbe potuto sostituire la mia terra natia, e la terra del cuore, il Libano, e nella quale avrei potuto finalmente riporre le mie radici, amare ed essere amato.

La vita non è stata affatto facile e rosea. Le tragedie della guerra, gli amici uccisi, le tragedie personali ed ogni tanto qualche nota bella, mi hanno accompagnato durante tutti questi lunghi anni.

L’abbandono forzato dell’università, la mancanza di soldi, la possibilità quasi rara di, telefonare a Beirut (allora non esisteva Skype, e per telefonare, bisognava fare un mutuo), e poi, l’orgoglio di dire ai tuoi che “ andava tutto bene”,  per non inquietarli (mentre era l’esatto contrario)…..

Mi ero anche specializzato a fare il portoghese sugli autobus romani (50 lire preferivo spenderle per mangiare un pezzo di pizza bianca al taglio)…
E poi, ad unirsi in questa storia, viene anche Manuela a Roma, che mi chiede se presso la casa dove ho la stanza in affitto, c’è possibilità per un’altra persona. Ma, patti chiari, si tratta solo di 1 o 2 mesi al massimo (non ti fare strane idee!) (ci rimarrà quasi due anni).

Eppure, chi ci vedeva, aveva sempre l’impressione di avere davanti delle persone felici, serene, contente, e, persino spensierate e benestanti.

La voglia di vivere era sempre stata molto piu’ forte, e ci aveva sempre aiutati ad andare avanti, e sperare in un domani migliore.

Da allora, sono passati ben 33 anni.

Durante tutti questi anni, ho conosciuto moltissime persone, coetanei, e ciò che mi sorprendeva piu’ di tutto, era la differenza che emergeva nei nostri racconti dei tempi passati.

Per me, e tutti quelli come me,  fuori orario scolastico, il nostro punto di incontro e di ritrovo, era sempre la scuola, il nostro cortile, anche se si correva il rischio di incontrare l’abouna antipatico o rompiscatole, mentre per gli indigeni, il punto di incontro, fuori orario scolastico, era la piazza o il bar pinco pallo.

Io non riuscivo a capire come il loro “meeting point” non fosse la loro scuola (mi sembrava una cosa così scontata e naturale), così come loro non riuscivano a capire come anche dopo l’obbligo della scuola, il nostro “ meeting point” fosse sempre, la scuola.

Molte volte mi è capitato di sentirmi dire, “ che bello”, “ ti invidio” “ no, per noi non è stato così” “ mai e poi mai avremmo  identificato la scuola come il nostro meeting point”.

La guerra ci ha smembrati e lacerati, e ci siamo ritrovati catapultati, ai quattro angoli del globo, ma ogni qualvolta vi è stato un richiamo delle nostre origini, del nostro cuore, abbiamo sempre risposto con slancio e sincerità vera.

Ebbene, “si jeunesse savait et si vieillesse pouvait”, dopo tanti anni, sono riuscito a darmi una spiegazione a tutto ciò, o meglio, a codificare il mio “sentire”

Siete stati voi, carissimi Don, che avete remato, assieme ai nostri genitori, nella stessa direzione. E questo siete riusciti a farlo, perché ancor prima di essere preti, avete mostrato il vostro aspetto umano, nel bene e nel male, vi siete comportati da  “Uomini Veri”, che, pur dovendo pensare a voi stessi, ai vostri pensieri, ai vostri sogni, alle vostre preoccupazioni dovevate ancor prima, pensare agli altri ed al compito che vi era stato affidato, e tutto questo, ad una età  che si distanziava di poco dalla nostra.

Siete parte della nostra vita, siete il secondo anello del cerchio della famiglia, ed il fatto che stasera siamo tutti qui, a partecipare a questo gioioso ed emozionante convivio ( gliom prova, boukra, concerto), è l’espressione piu’ vera del nostro sentimento.

Don Bosco fa parte del nostro DNA.

Che Dio vi benedica, e che dia la possibilità ai nostri figli di incontrare nella loro crescita, dei Grandi Padri Salesiani, così come lo siete stati voi, per tutti noi.

Carissimi Don,  GRAZIE, Grazie dal piu’ profondo del cuore.

DARIO AMADEO


COMMENTI VECCHIO SITO :

caro amedeo oggi ho letto di te e di iole mi fa piacere se passo in italia vi cerchero sono a bengasi faccio il medico e ho nostalgia di tutti voi

| 14/10/2009 | badi fathi | fathibadi2002@yahoo.com |

TANTI AUGURI A :

CI HANNO SCRITTO