Le suore “sfruttate” dal maschilismo ecclesiale alzano la voce

da | 16/03/2018 | VIVA LE DONNE | 0 commenti

In uno degli articoli precedenti si parla di un’inchiesta a proposito delle suore e del loro lavoro, suore sfruttate dal clero e della situazione attuale in un ambito più generale. Qui di seguito il testo che  ha incentivato la denuncia dell’Osservatore Romano, forse avrei dovuto stampare questa prima, abbiate pazienza, incomincio ad essere un ex con un anno di età in più ogni volta che si festeggia il 1 di gennaio…

Diego

Er Webmaster..., SSB

LA FESTA DELLA DONNA E IL POLITICAMENTE CORRETTO

Questa è un’altra delle proposte che sono arrivate o che abbiamo scovato su internet come “angoli di discussione” in merito all’articolo di Mario Prosdocimo sul contenuto delle sue riflessioni quanto alla Festa della Donna o se preferite denominata meglio come “International Women’s Day 2018“.

Santa Susanna (Camusso) ora pro nobis: le suore “sfruttate” dal maschilismo ecclesiale alzano la voce

Sull’Osservatore Romano – di Andrea Maccabiani – 5 marzo 2018


Clamore mediatico per la denuncia dell’Osservatore Romano: le suore sono spesso sfruttate dal clero. Nell’aula mediatica si istituisce un processo politicamente corretto. Unico assente (come sempre) l’avvocato del Padreterno.

In tempi normali, sarebbe stata un’esclusiva de “L’Unità”, oggi, invece, ci pensa “L’Osservatore Romano”. Nel numero di marzo di “Donne chiesa mondo”, inserto mensile del quotidiano della Santa Sede, è uscita un’inchiesta a firma di Marie-Lucile Kubacki dal titolo “Il lavoro quasi gratuito delle suore”.

Il tema ha suscitato grande scalpore: tutti i quotidiani nazionali e online hanno subito rilanciato l’articolo, che dai toni (e soprattutto dalle argomentazioni) parrebbe più adatto ad un’inchiesta del programma “Le Iene” anziché del quotidiano della S. Sede. L’abbinamento del tema femminista combinato a quello dei diritti dei lavoratori è stato certamente vincente visto il successo avuto in termini di rilancio (basta fare una piccola ricerca in rete per capire). 

Le parole usate sono tutt’altro che misericordiose nei confronti della dirigenza cattolica: «Alcune di loro servono nelle abitazioni di vescovi o cardinali, altre lavorano in cucina in strutture di Chiesa o svolgono compiti di catechesi e d’insegnamento. Alcune loro, impiegate al servizio di uomini di Chiesa, si alzano all’alba per preparare la colazione e vanno a dormire una volta che la cena è stata servita, la casa riordinata, la biancheria lavata e stirata … 

In questo tipo di “servizio” le suore non hanno un orario preciso e regolamentato, come i laici, e la loro retribuzione è aleatoria, spesso molto modesta […] Un ecclesiastico pensa di farsi servire un pasto dalla sua suora e poi di lasciarla mangiare sola in cucina una volta che è stato servito? È normale per un consacrato essere servito in questo modo da un’altra consacrata?». 

L’articolo prosegue dando voce ad una religiosa anonima dotata di nome di fantasia (come conviene alle inchieste di una certa serietà) che elenca le innumerevoli vessazioni a cui sono sottoposte le religiose nella Chiesa: senza retribuzione, senza contratti, senza tutele, senza orari e senza possibilità di crescita intellettuale né tantomeno di “carriera”. Tutto ciò provoca in molte suore una sensazione di frustrazione con conseguenze serie sulla salute psicofisica. Immancabile il riferimento delle religiose venute dal terzo mondo che, avendo avuto la possibilità di studiare e di vivere in un occidente opulento, si piegano silenziosamente ai servizi più umili in riconoscenza al proprio ordine e alla S. Chiesa che ha permesso ciò, senza possibilità di ribellione.

L’unica via d’uscita -l’avrete capito- è una sorta di rivoluzione femminista profumata di incenso e di teologia della liberazione, come l’articolo ricorda in chiusura: «Il riconoscimento del loro lavoro costituisce anche, per molte, una sfida spirituale.  Gesù è venuto per liberarci e ai suoi occhi noi siamo tutti figli di Dio… ma nella loro vita concreta certe suore non vivono questo e provano una grande confusione e un profondo sconforto».

tópoi della letteratura ecclesiastica contemporanea, l’avrete notato, ci sono tutti. C’è da dire anzitutto che sarebbe sciocco negare che ci siano problematiche legate a questo ambito che vanno descritte con rispetto: proprio per questo sarebbe servita una trattazione più seria. È davvero deludente (ma –ahinoi- non strano) che manchi del tutto la prospettiva soprannaturale del problema. Come si fa a parlare delle religiose e del loro variegato servizio alla Chiesa, senza menzionare una sola volta il Vangelo, le Regole di vita degli ordini, gli statuti delle Congregazioni e l’esempio dei santi fondatori?  Basterebbe scorrere l’Annuario Pontificio e leggere i nomi delle innumerevoli Congregazioni femminili esistenti nell’Orbe Cattolico: quanti di essi hanno nel loro titolo la parola “serve”? Qualche esempio: “serve dei poveri”, “serve di Gesù Cristo”, “serve di Maria”, “serve della Divina Provvidenza”, “serve dei sacerdoti”, e via proseguendo. Nei secoli questa parola così degradante non ha mai suscitato il ribrezzo di nessuno: né dei fondatori, né delle Congregazioni Romane chiamate ad approvare gli statuti, né delle centinaia di donne che hanno dedicato la loro vita a questi carismi. Come è possibile che l’esempio di Gesù contenuto nei Santi Vangeli e ripetuto nella Chiesa, sia accantonato per far posto a elucubrazioni degne della sedicente “presidenta” uscente della Camera dei Deputati?

Grattando ancora un po’ trovo davvero ingiusto (molto più delle vertenze sindacali descritte in abbondanza nell’inchiesta, peraltro corredata da foto di suore con scopa e panni lavati d’ordinanza) che si vituperi così la memoria di migliaia di donne meravigliose che compiono un servizio grande e degno in tutte le parti del mondo o che l’hanno compiuto nei secoli e che ora si godono il premio delle loro fatiche. Si, ecco ancora l’ottica soprannaturale: Dio premia il bene compiuto, apprezzando soprattutto quello fatto nel silenzio, nell’umiltà, nella fedeltà quotidiana alle piccole cose fino a quella eroica testimonianza del Vangelo e della Regola osservata.

Ho in mente – e credo anche voi lettori- decine di suore che ho conosciuto, impegnate nell’asilo, nell’oratorio, nel seminario, in case di spiritualità o altro. Ho conosciuto sempre donne orgogliose, meticolose nel servizio, artiste del rammendo, musiciste, cantanti, maestre. Al mio paese ce n’era una ultranovantenne che partiva da sola con l’autobus e girava i paesi limitrofi andando a trovare gli anziani (spesso più giovani di lei!). Ne conosco un’altra che ogni tanto mi telefona chiedendomi se passo per un caffè perché “ha segnato il mio numero sull’agendina così ogni tanto si ricorda di telefonarmi”. Ne ho conosciuto una che mi ha dato lezioni di cucina, un’altra che mi confidava le sue speranze su alcuni bambini “promettenti vocazione”. Orgogliose di servire tutti per servire Lui, perché “servire è regnare”. Tutte consacrate eppure tutte mamme. Quante mamme rivendicano il lavoro fatto alla famiglia e ai figli? Quante chiedono retribuzione, contratti, orari stabiliti? Viene da sorridere perché sul fronte femminista abbiamo visto anche questo; fa ancora più sorridere notare che i rigurgiti ormai in dissoluzione di un femminismo d’annata, siano presentati come fresca novità nella Chiesa. Il solito vecchio vizio di mettersi gli abiti dismessi dagli altri spacciandoli per nuovi?

L’unico debole merito di questa chiassosa inchiesta è forse quello di rendere tutti più consapevoli di questa grande ricchezza, soprattutto in tempi come questi in cui i conventi chiudono sempre più spesso per via del gelido vento della primavera mancata. Sia i sacerdoti che i laici dovrebbero sempre essere attenti nel valorizzare le consacrate, sovvenendo anche alle necessità materiali. L’articolo lamenta infatti i problemi economici che affliggono le Congregazioni, rimarcando una disparità di trattamento tra prestazioni clericali maschili e femminili: «Al momento lavoro in un centro senza contratto, contrariamente alle mie consorelle laiche.  Dieci anni fa, nel quadro di una mia collaborazione con i media, mi è stato chiesto se volevo davvero essere pagata.  Una mia anima i canti nella parrocchia accanto e dà conferenze di quaresima senza ricevere un centesimo… Mentre quando un prete viene a dire messa da noi, ci chiede 15 euro» rivela una suora intervistata. Peccato che non si sia fatto anche un dossier sui beni milionari di certe Congregazioni oppure sulla concorrenza sleale di certe case di ospitalità religiosa in città importanti come Roma, che non pagano un centesimo di tasse. Il vero problema non è né il maschile né il femminile, né il laico né il consacrato. Il problema è, come sempre, il cuore dell’uomo. Qualsiasi uomo. Questo cuore va guarito con i Sacramenti e una vita Santa, non con gli slogan in voga Oltretevere.