LA SCUOLA ITALIANA MASCHILE DI BEIRUT

CHARLES CUSHMAN-  Beirut, 1965- 90 : Parliament Square


Terzo capitolo del libro di don Vittorio, capitolo lungo e molto ma molto interessante, attraverso una marea di lettere e missive di ogni tipo che hanno fatto andata e ritorno un miliardo e mezzo di volte, si riescono ad intravedere le prime proiezioni dei salesiani in Medio Oriente, in Libano in particolare.

Questo capitolo, che come i precedenti, troverete al completo a fondo pagina in formato PDF, è anche l’ultimo capitolo che don Vittorio ci regala, il quarto ed i capitoli successivi si potranno leggerli al momento della stampa e distribuzione del libro in merito.

Vorremmo qui ringraziare in modo molto chiassoso, come si faceva all’epoca durante le escursioni in autobus, una caciara indescrivibile per chi se le ricorda…, l’autore del libro e cantando a squarciagola un bememerito “Shoukran don Vittorio” da far impallidire i famosi cantori sardi attualmente sotto Mirto spinto in quel di Gerusalemme se non andiamo errati.

Grazie ancora un milione di volte e aspettiamo la notizia dell’Imprimatur finale, senza dimenticare di fare gli auguri per il lavoro ancora da fare…

Don Kikka – Don Gianni – Don Diego

 

TROIKA

Er Troika..., SSB

Capitolo III

LA SCUOLA ITALIANA MASCHILE DI BEIRUT

Se la rapidità con cui la scuola italiana maschile di Beirut arrivò in mani salesiane ha del sorprendente, l’approccio dei figli di don Bosco a questa realtà avrebbe dovuto tener conto di ciò che già esisteva, ma in prospettiva di futuro. Infatti, è spesso più facile iniziare un’opera ex novo, che modificare il corso di una già avviata e dalle tradizioni consolidate, come era appunto il caso a Beirut. Benché l’ordinamento scolastico fosse predeterminato dall’identità dell’opera e dai programmi  italiani per le scuole all’estero, la convenzione firmata tra i salesiani e l’ANMI dava indicazioni assai precise sull’orientamento italo-libanese da prendere nel corso elementare e medio, in modo da consentire agli allievi il conseguimento dei diplomi libanesi.

“Qualora [poi] in avvenire il Governo Italiano e il Governo Libanese stabilissero l’equipollenza reciproca dei titoli di studio, la scuola adotterà i programmi che venissero prescritti per tale equipollenza. Per gli alunni che desiderino i titoli di studio italiani, saranno continuati, in via di esperimento, gli attuali corsi”.

Come si districarono i salesiani in questa situazione piuttosto inedita per loro?

L’ispettore, don Garelli, nella richiesta ai superiori di Torino per accettare la proposta della scuola italiana maschile di Beirut affermava che era

“analoga a quella di Cairo e Alessandria, con la sola differenza che, dei circa 300 allievi, pochissimi sono italiani: la stragrande maggioranza è formata di Libanesi. E ciò è ancora meglio”.

La differenza era quindi sostanziale e la denominazione “scuola italiana” copriva quindi una realtà alquanto diversa, analogamente a quanto avveniva – e avviene tuttora – in Libano, dove il sistema scolastico assai liberale permetteva, anzi favoriva, l’esistenza di scuole straniere a servizio delle varie comunità nazionali, ma frequentate pure, anzi prevalentemente, da libanesi.  La convenzione prende atto di questa realtà e lascia libertà ai salesiani di proporre “eventuali modificazioni”, ma sempre in relazione allo statuto di scuola italiana, riconosciuto e accettato pacificamente. Tuttavia l’evoluzione della scuola, soprattutto con la creazione della sezione anglo-americana pochi anni dopo, denota che i salesiani, in risposta a precise necessità pastorali e richieste,  hanno privilegiato questo orientamento piuttosto che quello italo-libanese di dubbia riuscita e non accettato dallo stato italiano, agendo con tatto, creatività  e libertà di spirito, ma senza urtare la suscettibilità della autorità italiane e dell’ANMI. La sezione italiana infatti, pur nella sua modesta entità, mantenne il suo statuto e il suo prestigio e serviva da copertura alla presenza salesiana in un edificio che, con il passare degli anni, si rivelava sempre più inadeguato a contenere il numero crescente di allievi, tra i quali gli italiani erano un’infima, ma ritenuta qualificata, minoranza.

1. La scuola prima dell’arrivo dei salesiani

La situazione della scuola italiana maschile nel periodo che seguì la seconda guerra mondiale, nonostante l’invio dall’Italia di un numero consistente e qualificato di religiosi domenicani che la gestivano dal 1927, si era trovata ben presto a dover far fronte a difficoltà “insuperabili”, così descritte da uno di loro:

“L’Italia non godeva più dell’antico prestigio presso la popolazione araba […]; molti italiani non erano più ritornati […]. Il Libano […] aveva imposto alla scuole straniere delle leggi difficilmente attuabili. Il Governo italiano, totalmente impegnato nella ricostruzione nazionale, non poteva permettersi il lusso di pensare alle scuole all’estero. La stessa A.N.M.I. attraversava un periodo di crisi e aveva drasticamente limitato i suoi interventi all’estero. La Provincia domenicana di Piemonte e Liguria esaminò attentamente la nuova situazione […] e, constatata l’impossibilità di sopravvivenza, prese la dolorosa e sofferta decisione di ritirare i suoi missionari e di restituire la Scuola all’A.N.M.I.”.

In questa situazione, le difficoltà “insuperabili” incontrate dai domenicani, si rivelarono per i salesiani un’opportunità per iniziare un’avventura che sarebbe durata 25 anni, esattamente quanto quella dei loro predecessori, e che si sarebbe chiusa non per libera scelta, ma per la forza degli avvenimenti.
La scuola nella quale facevano il loro ingresso i figli di don Bosco comprendeva: “una scuola elementare araba, [una] scuola commerciale pure araba, […] medie con liceo Italiano”. Per quanto riguarda la sezione italiana, il “pareggiamento” era stato richiesto nel 1930, “i programmi di insegnamento ]…] erano del tutto simili a quelli che si svolgevano in Italia”, e gli esami ufficiali erano sostenuti “davanti alla Commissione presieduta dal Commissario inviato dal Ministero, ottenendo il Diploma di Licenza”. Dal 1930 esisteva pure un convitto, ritenuto “una istituzione provvidenziale”, soprattutto “per una formazione scolastica e morale più accurata”. Accoglieva ragazzi provenienti da zone periferiche o dai paesi vicini, di nazionalità e religioni diverse,

“per cui […] era il luogo ove i convittori imparavano a studiare e giocare insieme, a vivere insieme, a contrarre amicizie, superando le diversità causate dalla nazionalità, dalla religione e dalla condizione sociale”:

tutti obiettivi che combaciavano perfettamente con quelli dell’educazione salesiana.

Nel 1937 la scuola era stata dedicata a p. Reginaldo Giuliani, il cui nome spiccava sulla facciata fino all’immediato dopoguerra insieme alla denominazione “Regia Scuola Italiana Maschile”. Da allora, scomparve pure la denominazione “regia”, ma rimase incisa la scritta latina: “Non scholae sed vitae discimus – Domus scientiae domus vitae”, a testimonianza dell’ “alta missione religiosa, morale, educativa e istruttiva che la Scuola Italiana era chiamata a compiere”. L’elegante edificio, dai lineamenti stilistici cinquecenteschi, era  opera dell’ing. Carlo Buscaglione di Torino, e sorgeva su un terreno di “circa 14.000 m.q,”, previsto pure per l’edificazione di una chiesa. Di una lunghezza di 51 metri, comportava un seminterrato e tre piani, l’ultimo dei quali riservato al dormitorio dei convittori e al reparto dei religiosi. Don Albino Fedrigotti, visitatore straordinario pochi mesi dopo l’arrivo dei salesiani, aggiunge altri particolari:

“La casa, come edificio, è solida ed ha un discreto cortile irregolare, con un terreno adiacente che vi s’incunea malamente e che bisognerebbe acquistare. La cappella è provvisoria; manca il teatro. La posizione è buona, […]. Ma la casa è malcomoda per i confratelli; mancano i lavandini e scarseggiano i servizi igienici”.

2. L’arrivo dei salesiani e i primi anni

La sorprendente mancanza totale di documentazione sull’arrivo dei salesiani non permette di ricostruirne  i momenti salienti e nemmeno di conoscere i nomi del primo drappello che approdò in terra libanese nell’estate del 1952, seguito poi dagli altri. E’ la stessa cronaca della casa del 1954-55 che denuncia la mancanza di documenti, nelle pagine introduttive dedicate alla fondazione ed agli inizi dell’opera, dove viene detto laconicamente:

“Accettate le condizioni da ambo le parti, [salesiani e ANMI], la Scuola aprì regolarmente i battenti in ottobre, dando inizio al nuovo anno scolastico. Il Sig. Ispettore vi fece affluire vari confratelli raccolti da ogni casa dell’ispettoria. Sfortunatamente nessun documento ci fu tramandato che parli dell’inizio di quell’anno, del numero dei confratelli e delle difficoltà incontrate. Il direttore di quel periodo fu D. Trancassini, il quale solo è in grado di fornire notizie relative a quegli anni”.

Grazie ad una sua lettera del 1953,  ad un’altra di don Garelli all’ANMI e alla relazione, già citata, di don Fedrigotti al capitolo superiore, dopo la sua visita a Beirut in quello stesso anno, benché insufficienti,  alcune lacune sul primo anno vengono colmate. Apprendiamo così che la scuola aprì in ritardo, e che si era “sparsa la voce che non si sarebbe riaperta più, almeno per quest’anno”. L’avvio è incoraggiante: tutto procede “con regolarità”; vi regnano ordine e disciplina.

“Naturalmente, questo è costato non pochi sacrifici ai Salesiani addetti alla Scuola. Per quasi un mese dovettero dormire per terra. Il Convitto particolarmente era in condizioni impossibili: si dovette ripulire, rifare, acquistare l’indispensabile. E tutto questo, senza mezzi”.

Inoltre, l’Elenco generale della società salesiana  ci permette di conoscere il nome e il numero dei salesiani presenti a Beirut anno per anno. Nel primo anno: sono 9, di cui 6 sacerdoti, 2 coadiutori e 1 chierico. Quanto a don Fedrigotti, scrive:

“Gli allievi sono 207, di cui 85 cattolici, 12 ortodossi, 5 protestanti, 89 musulmani, 13 Drusi […] e 3 israeliti. Vi è una dozzina di interni. […] Il liceo conta in tutto 17 allievi. [… Oltre ai salesiani, vi è] un chierico aspirante e un musulmano convertito, anzianotto, che vorrebbe farsi salesiano. […] Vi sono anche 13 maestri e professori esterni, dei quali 4 pagati dal governo italiano e mandati da lui. Poi 3 servi e il cuoco”.

Il quadro è quindi completo.

Nel secondo anno si nota un leggero aumento: i salesiani sono 12, gli insegnanti esterni 16, gli allievi 215, “tre gli indirizzi della scuola: elementare, commerciale, medio-liceale. Ancora non abbiamo la possibilità di aprire l’oratorio”. Si cerca di lanciare qualche attività ricreativa, come due teatrini in italiano e in arabo e di “apprestare la prima riunione dei primi cooperatori”, oltre a lanciare “una modesta propaganda sui giornali di lingua araba […] ed allargare la cerchia delle relazioni con le autorità religiose e civili”.

Alla fine dell’anno scolastico, una “relazione d’indole generale” del direttore, don Trancassini, destinata verosimilmente all’ispettore, fa il punto della situazione: emergono anzitutto le difficoltà reali nel settore scolastico: l’insegnamento bilingue nelle elementari esige uno sforzo supplementare da parte degli alunni, non sempre motivati, per cui i risultati dell’esame di “Certificato” (libanese) nei primi due anni sono stati “disastrosi”. Non sono esenti da responsabilità alcuni insegnanti. Si ipotizza una riduzione del programma italiano. Il corso commerciale si rivela complesso e vi sono lacune nelle materie d’insegnamento. Quattro insegnanti su sette sono salesiani. Nella scuola media mancano insegnanti. Il liceo ”è il corso che apparentemente dà meno fastidio, ma è il più esigente per titoli e andatura legale”, e si prevedono lacune per il nuovo anno scolastico. L’opera risente evidentemente del “cambio di direzione”, ma si sta impostando sempre più con criteri salesiani, anche se il divario tra realtà e desiderio resta notevole: l’oratorio è per ora “uno pseudo oratorio festivo”, senza un incaricato, ma si auspica “un’attività oratoriana di un giorno intero”; il movimento sportivo è limitato e non organizzato; mancano ancora attività teatrali e d’intrattenimento, per cui le giornate festive passano “liscie e silenziose”; per il lancio dei cooperatori, si attende che si metta “in moto la buona volontà di chi ha promesso di aiutarci”. Ne risentono quindi i “rapporti salesianamente intesi nell’ambiente libanese”, dai quali dipende “le possibilità di vita e di espansione”. Viene quindi percepita con chiarezza la necessità di un maggiore inserimento locale, facendosi sempre più conoscere. Per ora i rapporti esterni si limitano alle”autorità italiane e libanesi”, in base “alla convenienza e al dovere” e sono “buoni”. Il convitto ospita 13 ragazzi, tutti italiani, eccetto un palestinese: andrebbe potenziato, ma il timore è che diminuisca. Si segnala infine la presenza proficua delle compagnie dell’Immacolata e di san Luigi. Passi avanti se ne stanno quindi facendo, benché rimangano sempre al di sotto dei desideri.

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TERZO CAPITOLO

Il terzo capitolo formato PDF : SDB-LIBANO-3

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