La rivolta libanese in cinque istantanee
Testo scovato e inviato dalla Paola Globetrotter e che vi invitiamo a leggere, link dopo queste righe e anche a fondo pagina per il testo originale.
Qui di seguito la prima parte dell’articolo, il testo é molto interessante, sia dal punto di vista filosofico che sociale e leggendo queste righe ci si “trasporta” senza alcun indugio anche in mezzo alla folla e ai gruppi di libanesi che continuano a dimostrare la loro unità e la loro solidarietà al di fuori delle transenne “nazionali” e anche religiose.
L’autore racconta per filo e per segno quello che abbiamo provato e “annusato” quando eravamo ancora a Bikfaya e dintorni, la volontà dei libanesi di non voler mollare anzi, voler dimostrare ai governanti libanesi, al popolo medio-orientale e a tanti altri che il fumo dei pneumatici messi a bruciare in mezzo alla strada non smetterà fino a quando una possibile risposta socio-politica verrà messa sul tavolo dei probabili negoziati per un governo che rispetti tutti i ceti sociali del Libano e dintorni.
L’analisi costruita e sviluppata nell’articolo é molto dettagliata e puntigliosa, questo lo aggiunge il vostro webmaster, tramite le foto pubblicate con vari slogan appicciati o dipinti su lenzuoli e pezzi di cartone l’autore ricuce un percorso di “manifestanti” attraverso i testi redatti e tradotti, testi che danno a questa rivolta nazionale un appiglio per capire meglio la situazione generale e la maniera di pensare di cittadini arrivati ad un capolinea sociale non indifferente.
Vi consiglio caldamente di leggerlo tutto l’articolo, potete trovare il link ad inizio pagina e anche qui di seguito, ma volevo ringraziare la Paola per averci “regalato” un’analisi più globale e meno soggettiva di quanto avrebbe potuto fare il turista Diego, anche senza arak…
Testo tratto dal sito della Fondazione OASIS, un centro internazionale che promuove la conoscenza del mondo islamico e l’incontro tra cristiani e musulmani
Come scritto sulla loro pagina INFO, “Oasis studia le società musulmane contemporanee, con una particolare attenzione alla loro dimensione religiosa, ma attraverso un approccio transdisciplinare che punta a far emergere la rilevanza pubblica della religione e le implicazioni culturali, sociali e politiche dell’incontro tra mondo islamico e Occidente. Nel lavoro di Oasis occupano un posto privilegiato anche la vita e la storia delle comunità cristiane nei Paesi a maggioranza musulmana.“
La rivolta libanese in cinque istantanee
22/11/2019 | Riccardo Paredi | LA RIVOLTA LIBANESE IN CINQUE ISTANTANEE
Nel Paese dei Cedri un impetuoso moto di protesta ha chiesto a una classe politica miope e corrotta di farsi da parte. Difficile prevedere come andrà a finire, ma piazze e muri parlano di un possibile cambiamento
Nell’ultimo mese il Libano è stato teatro di eventi di portata storica, tanto complicati quanto difficilmente prevedibili. Per questo motivo, piuttosto che tentare di spiegare ciò che sta avvenendo, preferisco consegnare cinque ishārāt, cinque “accenni” capitatimi sotto gli occhi passeggiando per alcuni luoghi delle sollevazioni: un graffito, un cartello, una foto, un disegno, una mappa. Un punto di vista limitato, certo, ma che prova a far parlare un po’ i muri e a dar spazio ad alcune voci che rischiano di perdersi nel caos della sollevazione libanese (#Lubnānyantafid). Voci esclusivamente arabe, perché si tratta di una rivoluzione anche linguistica, con protagonista indiscussa la variante libanese (al-āmmiyya al-lubnāniyya), l’unica lingua della rivoluzione.
“[È una] Rivoluzione, ok?”
Il sollevamento popolare libanese è senza precedenti (#Lubnānyantafid). Un impetus geograficamente generalizzato e socialmente trasversale. Spazialmente, dalla periferia al centro: Beirut, certo. Ma anche e soprattutto Akkar, Tripoli, Keserwan, Metn, Chouf, Saida, Nabatieh, Tiro, Baalbek e la valle della Beqaa.
Socialmente, dalle classi sociali più povere (circa metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà relativa) a quelle medio-borghesi, tutte governate da una leadership politica tra le più corrotte al mondo[2]. E ancora, dai ragazzi in motorino dei sobborghi beirutini agli studenti delle più importanti (e costose) università private, accomunati da un “furto di futuro” e una costante incertezza, divisi tra il partire (chi può), unendosi così alla già ben nutrita diaspora libanese, e il restare in un Paese con un tasso di disoccupazione giovanile intorno al 36%.
Dunque? Dunque thawra (rivoluzione), una di quelle parole esemplari dei gradi di libertà e dell’originalità grammaticale della lingua araba[3]. La radice trilittera (tha’ – wāw – rā’) non indica una mera rivolta popolare: designa etimologicamente un impeto di rabbia e passione, uno stimolo personale (mathār) e un eccitamento interiore (ithāra) incontenibile, che si diffonde e si estende come il propagarsi del rossore nel cielo dopo il tramonto (thawr al-shafaq). Indica l’insorgere ribelle e rivoltoso (thā’ir) di un intero popolo, ma anche lo scoppiare di un tumulto, il divampare di un incendio, l’eruttare di un vulcano, il sollevarsi di turbini di polvere o di cavallette (thawarān), l’issarsi del cammello dal terreno su cui riposava, lo scaturire dell’acqua da una sorgente o lo sgorgare del sangue dalle vene, fino a indicare le contrazioni di uno stomaco prossimo al conato. Se queste immagini evocative non bastano, risulta d’aiuto la X° forma verbale: istathāra significa precisamente far uscire dalla propria tana (una fiera), quasi a suggerire un parallelismo tra la rivoluzione di un popolo e la furia (thā’ir) con cui la belva attacca – si badi bene, per difendersi – chi ha osato provocarla (IV° forma: athāra).
Eccoci allora al nostro primo “accenno”. In risposta a chi vuole, consciamente o meno, sminuire la portata storica di questo autunno libanese, chiamandolo “movimento”, “protesta”, “disordine”, una ragazza spazza via ogni dubbio, scrivendo sul muro di un palazzo nel centro di Beirut: «[è una] Rivoluzione, ok? (thawra, māshī?)».
La caduta del sistema confessionale?
Il secondo “accenno” non può che essere “confessionale”. Il popolo libanese chiede principalmente le dimissioni in toto della classe politica attuale (Tutti significa tutti! – kullun ya‘nī kullun!) e la fine del sistema confessionale (al-nizām al-tā’ifī) con la sua commistione politico-religiosa che non contempla, ad esempio, la possibilità di un matrimonio civile o l’acquisizione, da parte dei figli, della nazionalità libanese della madre[4].
Nel foto qui a fianco, ad esempio, uno studente libanese mostra un cartello con scritto: «La più bella stagione (fasl, lett. divisione) dell’anno: la divisione (fasl) tra la religione e lo Stato». Avevo sentito una frase simile l’estate scorsa, visitando l’anziano ex-Metropolita di Byblos e Botris George Khodr, che aveva affermato (forse profeticamente?): «Morirò presto, ma solo dopo aver visto un sistema laico (nizām ‘almānī) in Libano». La rivoluzione ha dato parola a coloro, inclusa qualche personalità religiosa, che considerano deleterio l’attuale sistema confessionale. È proprio questo il senso della marcia di alcuni esponenti sciiti, sunniti, drusi e cristiani dalla Piazza dei Martiri fino a Riad al-Solh: noi siamo in primiscittadini libanesi, poi tutto il resto.
D’altronde, quella stessa strada passa davanti alla Moschea sunnita al-Amīn, dove, durante i primi giorni delle proteste, alcuni dimostranti sciiti hanno pregato fianco a fianco ai loro confratelli sunniti. Una première non di poco conto. E continuando verso il Grand Serrail, ci si ritrova davanti alla chiesa maronita di San Giorgio, dove un recente graffito, forse incompleto, recita: «La religione è [solo] di/per Dio» (al-dīn li-llāh). Forse un riferimento coranico (2,193 o 8,39), ma più probabilmente un richiamo al motto attribuito al patriota egiziano Saad Zaghloul, secondo il quale «La religione è di/per Dio e la Patria è di/per tutti» (al-dīn li-llāh wa-l-watan li-l-jamī‘).
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TESTO COMPLETO QUI : LA RIVOLTA LIBANESE IN CINQUE ISTANTANEE
CI HANNO SCRITTO