La chitarra al vento
Dedicato a tutti coloro che suonano la loro chitarra!
Sto leggendo il libro, o direi piuttosto l’urlo scritto, di Oriana Fallaci «La Rabbia e l’Orgoglio» ed ogni sera prima di addormentarmi cerco invano di capire la Beirut che lei descrive. Non mi ci ritrovo, perché in quell’epoca, con la chitarra in mano, andavo a prendere lezioni dai Cappuccini, da un giovane che aveva ideato, assieme al Père Gabriel Mekhari, la Messe des Jeunes che attirava folle ogni domenica sera. Ero un po’ timida, mi si sussurravano canzoncine per strada mentre camminavo con la chitarra in mano, ma io stoica non rispondevo e guardavo diritto davanti a me, fino al cortile della chiesa.
L’amore della chitarra mi venne così, a 14/15 anni. Ero anche felice di ascoltare la chitarra di Umberto, che col suo stile personale, faceva ballare tutti i commilitoni salesiani.
Eventualmente la chitarra divenne un’amica, da portare dappertutto, al mare, in montagna, da suonare al buio, in pieno sole, al vento…. poi un giorno il Signor Italo Battaglia propose di venir a suonare all’Istituto Italiano, alla rue de Rome. Lì tra canzoni alpine e triestine, ninna nanne e varie canzoncine partigiane (Oh Bella Ciao), avevamo come udienza una folla di allievi d’italiano, bambini coi genitori e i soliti sospettati, tra cui la famiglia Roncaglia.
Un giorno il Sr Italo ci chiese di mettere la musica a un suo «urlo» contro la strage delle religioni, che aveva composto in francese.
Questo pezzo era una po’ come la «Bohemian Rhapsody» : un giro di chitarre ululanti (due, quella di Annie Boghossian e la mia), cigolii, rock, dolci melodie, punk…. Era stata composta con tutto l’orgoglio e la rabbia che si provava all’ennesima bomba che aveva ammazzato innocenti, ai posti di blocco nelle montagne «cristiane», nelle mitragliatrici che sentivamo di notte credendo di sognare.
Mio padre ebbe paura del risultato e disse che potevamo solo cantarla e suonarla in compagnia di famiglia e amici stretti. Non voleva rischiare un kidnapping di due sedicenni, una armena e l’altra italiana.
Ed é così che solo poche persone l’hanno mai sentita, e il Signor Italo era fiero del risultato.
Un giorno fummo aggrediti nella casa di montagna ad Aynab da chissà chi che vennero col viso coperto da keffieh, puntandoci le armi addosso. Il Signor Italo e sua figlia Liliana erano lì pure, assieme ad Annie e ad altri amici con bambini.
L’indomani ci avevan rubato le auto, la Fiat del Sr. Battaglia con mille cassette dei Beatles e la nostra Ford Avenger, un modello nuovo che mio padre amava tanto.
Le chitarre ci accompagnarono l’indomani con la lunga camminata verso la cittadina addormentata dove ci prendemmo un tassì per Beirut. Annie andò sotto shock e per un po’ le chitarre eran spente.
Un anno dopo la chitarra la suonavo su una nave della Sesta Flotta Americana, con vari Marines, marinai e rifugiati libanesi della mia età. In mezzo al Mediterraneo, col vento serale di giugno, ero una dei tanti che scappavano dal Libano difficile del 1976.
La chitarra mi fece compagnia al Cairo dove presentai la Maturità.
Tornata al Libano, iscritta all’AUB, ho avuto l’occasione di cantare e di suonare ancor di più. Coi ciprioti ci sedevamo sul Green Oval e si suonava sperdutamente. Belle voci giovani, guerra ma quale guerra? A noi ci interessava il momento, l’amicizia e la canzone composta proprio lì sull’erba.
Poi un giorno mi ritrovai in uno studio di registrazione con altri cantautori libanesi e ciprioti. Ho composto, ho vinto e son passata al round two.
Era un concorso alla radio, ed era simpatico. Il mio amico Roger Yazbeck, accanito chitarrista dovette lasciare il Libano per vie segrete perché era ricercato. Nell’82, essendo rifugiate a Roma con mia sorella, Beatrice e sua mamma Anna-Maria, un giorno a Piazza Venezia qualcuno grida : “Paola Roncaglia!” Era Roger, a Roma per pochi giorni, in partenza per il Canada. Chitarra in mano, si passò la serata a suonare e a ricordare il bel Libano lasciato da poco.
E poi come non ricordarsi di Fulvio al Cairo che suonava la chitarra divinamente? Le dita affusolate non si stancavano mai e lo strumento era diventato parte della persona.
Sì la chitarra la suonai anch’io. Ma piuttosto distrattamente.
Paola
Carissima Paola, ho divorato avidamente il tuo racconto intitolato “La Chitarra Al Vento”, che bei ricordi ed e’ cosi che sei venuta a casa da noi con la tua chitarra e mi avevi cantato la canzone di Peter, Paul & Mary: “Blowing in the wind”.
erano bei tempi indimenticabili.
un abbraccio, ciao
Caro Umbo,
Le nostre chitarre ci hanno definiti e accompagnati! Che belle ‘séances’ abbiam fatto assieme! Che la musica addolcisca i ricordi difficili, e ci riporti indietro a quelli fantastici che eran molti di piu’!