Esattamente come 15 anni prima : Storia di baguette e ricordi…

da | 27/09/2009 | IMMAGINI DI MEMORIA | 0 commenti

Foto Bacheca Mario Click


Il caso… chi l’avrebbe detto… se avessi scelto di… Quante volte ci siamo detti queste e altre simili frasi, più o meno distrattamente e magari ci siamo soffermati a pensare cosa di diverso sarebbe accaduto se….
Il mio passaporto recita che sono italiana, Venezia la città  in cui sono nata, ma io come mi sento?
Esiliata in patria o forse questa non é la mia patria???

Nulla contro l’Italia per carità , é solo una sensazione personale che credo condividere in silenzio con tanti altri, non se ne parla, o si fa finta di nulla ma di tanto in tanto questa cosa riaffiora, nelle righe di una mail ricevuta, in un racconto di tempi passati che ci sono rimasti addosso come una seconda pelle.

Sono nata a Venezia da genitori italiani, non avevo ancora 2 anni quando per lavoro mio papà venne trasferito a Beirut nel Libano, a quell’età certo non potevo rendermi conto, quello che contava era avere la mia famiglia, la mia casetta, il bambolotto del cuore con cui giocare; a quell’età ancora non si va all’asilo, non ci sono gli amichetti, la memoria, dicono comincia a consolidarsi proprio dopo i 2 anni.

Ho vissuto al Libano 15 anni, bellissimi, un paese bello sotto tuti i punti di vista: la storia, la natura, il mare, i colori, gli odori e …la gente.

Certo ogni anno avevo la fortuna di poter venire in Italia per le vacanze, era una festa, il viaggio in nave, Venezia, le vacanze a Carano sulle Dolomiti dove ritrovavo gli amici dell’anno prima, dove potevo andare da sola a piedi fin da piccina dalle “tabacchine” l’unico negozietto che vendeva di tutto, a farmi fare pane e nutella appena lanciata che all’epoca era in una grossa scatola dalla quale con una spatola prendevano la nutella per spalmarla sul panino, i soggiorni a Montecatini dove papà amava andare per disintossicarsi, oggi si direbbe per levarsi un pò di stress…
Ma quando arrivava il giorno della partenza per rientrare a Beirut non mi prendeva nè tristezza nè nostalgia: avevo passato delle belle vacanze ero felice di tornare a casa… a casa… cosa significa tornare, yes but sono le 4 mura che mi ospitano o è qualcosa di molto più grande?

La risposta ad una domanda che non mi ero mai posta mi è arrivata negli anni e anche con sofferenza.

Nel 1970 finita la maturità avrei  dovuto venire in vacanze in Italia, iscrvermi all’università e poi fare la pendolare tra Venezia e Beirut secondo gli impegni universitari, purtroppo qualcosa di molto grave è accaduto, lavorativamente parlando, a mio padre e son tornata dalle vacanze a Beirut per disfare casa e traslocare definitivamente in Italia a Milano.
Un ricordo tristissimo che non son mai ruscita a cancellare anche pechè fu la causa che mi fece perdere papà nel 1975.

Giorno dopo giorno si riempivano gli scatoloni e si vuotavano armadi, mobili, soffitte, la casa, le 4 mura erano ormai deserte, mi sono voltata a salutar camera mia con gli occhi che piangevano da soli e per alcuni giorni siamo stati in albergo, non ricordo cosa ho fatto in quei giorni, credo di avero rimosso, un buco nero che non desidero nemmeno illuminare, ricordo solo l’ultima sera a cena da Vittorio la Spaghetteria Italiana la stessa seppur ad un indirizzo diverso dove avevo fatto il mio primo pasto a Berut 15 anni prima….
il pane francese tagliato a fettine, tostato, il burro che spalmavi e un pò di sale in attesa del piatto ordinato, esattamente come 15 anni prima….

Quante cose erano però successe in quei 15 anni… ero cresciuta, da bimbetta ad adolescente forzatamente più matura della mia età anagrafica.

Il giorno dopo sull’Ausonia, una partenza come  tante altre, i saluti, posare le valigie in cabina e poi all’annuncio “I signori visitatori ed accompagnatori sono pregati di scendere la nave è in partenza”  tutti sul ponte a salutare chi rimaneva sul molo. No, non era una delle tante partenze, non vi erano arrivederci, nè ci vediamo presto, appoggiata al passamani del ponte, salutavo Nazih l’autista che era stato con noi per 15 anni, quello che di nascosto da papà mi aveva insegnato a guidare, quello che aveva imparato a dire “da bacini“, non l’autista, un amico… Le lacrime scorrevano silenziose sul mio viso, e anche su quello di Nazih, pensavo alla tristezza che aveva nel cuore papà alla sua grande e giustifcata delusione, salutavo Beirut, le sue luci, i suoi clacson, i colori dei suoi fiori, il gusto della sua frutta, i suoi odori… casa mia… ecco casa mia era quella, il Libano.

Un viaggio poco divertente, uguale agli altri apparentemente ma così diverso, ogni miglia di mare che l’Ausonia percorreva era uno strappo, una lacerazione in più delle mie radici… non me ne rendevo conto… so solo che la tristezza era dentro di me.

Arrivai a Venezia, i miei andarono a Milano in attesa dei cointainer – quella volta erano di legno – che avrebbero portato i mobil, io rimasi a Venezia da mia zia per continuare i miei studi all”università.

Ricordo  le lunghe file in segreteria, ero tra tanti ragazzi e ragazze, vestita come mi son sempre vestita, con la voglia di conoscere qualcuno… fascista mi continuavano a dire e io non capivo pechè ce l’avessero  tanto con me, cosa avessi da esser etichettata. E poi cosa c’entrava la politica con l’università, io ero là per iscrivermi, per studiare. Un senso di disagio, un sentirmi fuori posto… non mi era mai capitato prima anche tra estranei.

Non ci misi tanto  a capire che poichè non avevo l’eskimo, le clarck ed il kaffieh, ma ero semplicemente vestita normalmente, da ragazzina ero vista come una  fascistona a me che di politica poco interessava, che poco sapevo e meno volevo sapere…

Ricordo che entravo a Cà Foscari e camminavo a testa bassa rasentando i muri, che facevo finta di non sentire quello che mi urlavano, che avevo un senso di paura e sconforto, alle lezioni rimanevo senza parole: il prof parlava e chi fumava, chi a gruppeti si raccontava i fatti suoi, un condensato di maleducazione a cui non ero avvezza e non avrei nemmeno immaginato potesse esistere, il tutto senza che il prof di turno cercasse minimamente di portare un pò di ordine.
Andare all’università divenne una vera angoscia, cominciai a studiare da sola a casa, mia zia voleva che frequentassi, io non avevo nemmeno il coraggio di esternare quello che provavo, così una mattina, uscii ma non diretta all’università, i libri sotto al braccio diretta alle Zattere dove mi aspettava un ufficiale dell’Adriatica che conoscevo da sempre e che avrei accompagnato sullo Stelvio (una delle 3 navi più piccole, i tre passi: Stelvio, Bernina e Brennero che si alternavano ogni  settimana, avevano un’unica classe ridotta e trasportavano merce) ormai fermo alla Giudecca seppur  relativamente nuovo perchè non più utilizzabile ed inattesa di decisioni.

Fatale fu l’ultimo scalino del ponte dell’Accademia, misi male il piede e dovettero ingessarmi. Così tornai a Milano dove trovai quella che doveva essere la mia nuova casa.

Non conoscevo nessuno e non sapevo nemmeno come fare per conoscere qualcuno, al mattino aprivo la finestra della mia camera che si affacciava su un cortile interno, finestre chiuse,  grigio, e la mia  mente volava alla bougnville che vedevo da camera mia a Beirut, al sole, alle voci, al fischio di Nando che passando sotto casa mi chiamava, chiudevo velocemente tutto e mi tuffavo nei ricordi, nei libri, nella tristezza che avevo dentro.
Leggevo, leggevo, ogni tanto mi arrivava da Beirut qualche cartolina, D. Doveri mi mandava il giornalino dela scuola…tanto ma ancora troppo poco per star bene.

Sono passati gli anni, una vita, ho lavorato, ho avuto due figli, ho vissuto a Roma 9 anni, 2 a Parigi, a Mestre da mamma appena separata, di nuovo a Milano, ho conosciuto gente, ho riso e sorriso, mi son divertita ma ho anche pianto ed in fondo al cuore sempre ed ancora la stessa sensazione provata quella sera di Novembre quando l’Ausonia per sempre mi portava via da Beirut… una lacerazione, uno strappo, una ferita mai rimarginata, che è lì, a volte fa più male, altre volte fa la brava e rimane silenziosa.

Mi son chiesta perchè sono andata a volare come hostess al’Alitalia io che ho sempre avuto paura degli aerei: perchè era un modo per tornare a Beirut seppur di corsa o solo per un giorno.
Mi son chiesta perchè ho voluto fare 2 soste a Dakar: perchè a Dakar vi sono tanti libanesi e mi sentivo un pò a casa.
Mi son chiesta perchè mi piace la costa azzurra: perchè in qualche modo la Croisette o la Promenade des Anglais ricordano la Corniche Mazraa, lo stesso stile di palazzi a cui i libanesi di allora si erano forse ispirati.
Mi son chiesta perchè in un momento difficile decisi di fare 15 giorni di ferie a Beirut, perchè sapevo che solo lì avrei ritrovato le forze.

Ma era il febbraio del 1975, nell’aria qualcosa si percepiva malgrado la vita sembrava scorrere sempre uguale,  tra haflè, cene, Caves du Roi, Faraya… In fondo in 15 anni di Libano avevo già vissuto la rivoluzione, tafferugli vari, coprifuochi, la guerra dei 6 giorni, non ci davo o non volevo dare troppa importanza ed invece in aprile le cose precipitarono a tal punto che a Beirut non ci si poteva più andare.

Mi son chiesta tante volte e per tante cose perchè: e la risposta mi ha sempe riportato al Libano o a qualcosa del Libano.

Vedere i giornali, ascoltare la radio era una sofferenza, cosa stanno facendo al mio paese, perchè tanto odio, perchè tutti i morti, perchè proprio là dove mi hanno insegnato a saper convivere con tutti, dove ho imparato che si va a bracetto con l’umile ed il ricco, il musulmano ed il cristiano, il copto, l’ebreo perchè distruggere il paese delle meraviglie?

Di anni ne sono passati ancora tanti, dovrei sentimi a casa, dovrei aggirarmi per Milano senza provare la sensazione di esserne estranea invece no, questa non è casa mia nè mai lo sarà, ma non c’entra Milano, Parigi, Venezia o…

Il Libano è casa mia, le mie radici per quanto le abbiano strappate sono rimaste là perchè se il passaporto è italiano il cuore è libanese, perchè vedere sventolare la bandiera libanese o sentirne l’inno mi commuove fino alle lacrime.

I miei figli son cresciuti con labneh, hommos, tabbouleh, kebbeh, falafel e pane arabo, mi scopro a parlarmi in arabo da sola, i fiori che preferisco sono il gelsomino, le gardenie, l’hibiscus, la bouganvilla, i piccoli ciclamini  selvatici…..

Nel 2007 vi è stato un grane raduno a Roma, gli ex allievi della mia scuola di Beirut, ho ritrovato, rivisto riabbracciato persone che non credevo mai più poter ritrovare ma che son sempre rimaste nel mio cuore come allora con la stessa naturalezza, ho trovato chi allora era più piccolo ed ho scoperto delle gran belle persone ed oggi grazie a questi ritrovamenti ho chiuso in un cassetto la solitudine perchè anche se lontani, ho degli amici veri che mi sono sempre vicini.

Leggendo il diario di Paola, del suo viaggio al Libano, ed i commenti ho capito che per motivi diversi, situazioni diverse, non sono sola a provare queste sensazioni ed ho voluto quindi scrivere quasi a volere dire a tutti quelli che leggendomi si ritrovano che abbiamo una grande fortuna: NON SIAMO SOLI, RESTAMO UNITI, parliamoci, sentiamoci e facciamoci compagnia!

Kikka