«… Trovare un minimo denominatore comune sull’identità del Libano è la base, difficilmente raggiungibile nell’attuale contesto, ma indispensabile per la sopravvivenza del Paese …»
Un altro articolo di don Vittorio a proposito delle elezioni Libanesi, un’analisi come sempre dettagliata e precisa : la speranza che questa volta sia la volta buona anche se ci sono sempre tanti punti interrogativi o se preferite tanti punti neri in un lenzuolo poco bianco ma molto grigio…
A otto giorni dalle elezioni politiche in Libano, ritenute decisive per l’avvenire del Paese, i risultati definitivi sono ormai chiari per tutti, ma la loro lettura e interpretazione è estremamente variegata. Un forte scossone è stato dato e la frammentazione si è accentuata, ma, in realtà, che cosa è cambiato e che cosa cambierà, se le regole del gioco politico non sono cambiate?
Tutto cambia e niente cambia. È paradossale, ma probabilmente realistico. Siccome nessuno può pretendere una netta maggioranza parlamentare, il panorama resta vago, almeno fino a quando verranno presi accordi tra i vari gruppi parlamentari e si costituiranno eventuali blocchi. Dato il ventaglio di posizioni e programmi assai divergenti, sembra che accordi temporanei e circostanziali su temi determinati prevarranno su intese politiche ad ampio raggio.
Se molti volti nuovi del parlamento si dichiarano contrari al tradizionale “compromesso alla libanese”, (né vincitori né vinti), che da parecchi anni è stato la prassi abituale per governare un Paese spesso ingovernabile, riusciranno ad evitare la paralisi in un contesto che non è cambiato e stenta a cambiare? Il rischio di stallo istituzionale non sarebbe una novità nel sistema politico libanese e la situazione generale del Paese si aggraverebbe.
Senz’altro, la polarizzazione si è accentuata. Il binomio sciita Amal-Hezbollah, pur avendo mantenuto la quasi esclusività dei seggi sciiti, ha perso per strada vari candidati alleati filosiriani. Nel campo cristiano, – vigendo in Libano il regime confessionale – il partito delle Forze Libanesi ha scavalcato il Movimento Patriottico Libero, fondato dall’attuale presidente della Repubblica, il generale Michel Aoun, alleato di Hezbollah e ormai verso la fine del suo mandato. Tredici rappresentanti della contestazione iniziata nel 2019 hanno sfondato e sono stati eletti, introducendo nel parlamento nuove sensibilità. Ancora troppo timida la presenza femminile: 8 donne contro 6 nel parlamento precedente…
Gli oppositori all’attuale regime o all’attuale sistema si trovano indubbiamente con la voce più forte, ma come potranno tradurla in gesti concreti, trovandosi ingabbiati essi stessi nel sistema che rifiutano e che non li favorisce? Se la politica è l’arte del possibile, solo agendo con tatto e con saggezza e procedendo a passi ben calibrati, potranno gradualmente raggiungere, almeno parzialmente, gli obiettivi che si sono proposti e stimolare, in future elezioni, l’oltre 50% di astenuti, in gran parte per disillusione. Ogni scontro frontale invece rischia di risvegliare lo spettro della guerra civile che nessuno veramente vuole, ma che fa periodicamente capolino.
Trovare un minimo denominatore comune sull’identità del Libano è la base, difficilmente raggiungibile nell’attuale contesto, ma indispensabile per la sopravvivenza del Paese, minacciata dalle molteplici crisi (politica, sociale, economica, finanziaria e finalmente esistenziale) che lo stanno logorando e non superabili senza l’impegno di tutti i libanesi e il contributo della comunità internazionale. Tanti si augurano che non continui a realizzarsi la fin troppo chiara immagine, ripetutamente evocata dal defunto patriarca maronita, il card. Nasrallah Sfeir: “Il Libano dà spesso l’impressione di essere come un carro trainato da buoi in direzione opposta”.
Riusciranno i neoeletti (in gran parte rieletti) a rimettere il Libano in carreggiata? La sfida è grande e non manca in parecchi la decisione di volerla affrontare con coraggio.. Ma solo il tempo e i risultati diranno se la sfida è stata vinta e il Libano rinato a nuova vita.
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