GIUBILEO MISSIONARIO

Foto scattata nel 1963 a bordo dell’Esperia


Correva l’anno 1963, 50 anni fa! Un anno segnato da eventi epocali a livello di storia generale ed ecclesiale:

  • morte di Papa Giovanni ed elezione di Paolo VI che rilancia il Concilio Ecumenico;
  • M. Luther King rivolge il suo discorso “I have a dream”;
  • la tragedia del Vajont; l’assassinio di J.F. Kennedy.

Ma anche di piccole storie come la nostra, mia e dei miei 4 compagni missionari, animati anche noi da un sogno …
Desidero rievocarla brevemente con voi, cari amici e amiche, pensando di farvi cosa gradita.

DON GIANNI

SALESIANO, SSB

Per un gruppetto di sbarbatelli sedicenni (Antonio Dal Fitto, Dino Dalle Pezze, Adriano Moro, Renzo Vincenzi e io) fu l’anno della vestizione clericale a Mirabello Monferrato prima casa salesiana fondata da Don Bosco fuori Torino 100 anni prima (8 Settembre), della consegna del crocifisso di missionari nella basilica di Maria Ausiliatrice a Torino (6 Ottobre), del viaggio in mare sulla motonave “Esperia” della “Adriatica Navigazione” che ci portò in Libano, dove per noi iniziava una nuova vita.

Il 12 Ottobre ci imbarchiamo a Genova, vestiti con la talare nera, il “basco” in testa al posto del “saturno” molto più ingombrante, e le poche cose che poteva contenere una valigia di cartone. Ognuno si era procurato anche un po’ del miglior vino delle proprie zone, per prevenire il mal di mare e qualche punta di nostalgia da adolescenti. La mamma di Nicola Masedu mi aveva fornito un bottiglione da due litri di Vernaccia …

Il 13 la nave attracca a Napoli. Ne approfittiamo per andare in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Pompei. Bellissima giornata. Ma al ritorno il motore dell’auto comincia a emettere prima una “fumarola” come quelle del Vesuvio, poi diventa una vaporiera. Riusciamo a raggiungere la nave poco prima che salpi, attesi dal capitano: “Rischiavate che la vostra avventura missionaria finisse sul nascere”.

La traversata del Mediterraneo fu tranquilla, eccetto il giorno in cui uno sbuffo di vento si prese in mare il basco di Vincenzi. Due giorni dopo giungiamo ad Alessandria d’Egitto. Il “khamsìn” feroce e appicicaticcio, il vociare dei facchini con quella lingua gutturale, la polvere e la sporcizia …; ebbi un moto istintivo di rigetto: “Voglio tornare a casa!” Durò un attimo, ma lo ricordo ancora oggi.  Arrivati al “Don Bosco” troviamo ad accoglierci Don Ottone, col suo viso buono e rassicurante. L’enorme cortile e i laboratori della scuola erano strapieni di giovani. Uno di essi, Orlando Cangià, si unì a noi.

Ripreso il mare, il 17 mattino presto sbarchiamo al porto di Beirut. Sulla banchina ad accoglierci c’è Don Forti, trasparente, e il signor Castelli, massiccio, che alla guida del pulmino Fiat ci porta per una breve visita alla Scuola Salesiana. Il chierico Scudu era tirocinante nella sezione Italiana. Saliamo poi ad Harissa per chiedere la benedizione della Madonna e verso mezzogiorno giungiamo a El-Hssoun, percorrendo quella stradina di montagna che costeggiava lo strapiombo dello “zuccone”. Troviamo un altro compagno di noviziato, Abboud Ghargour, e una comunità di confratelli molto giovani e dinamici con Don Moroni come direttore, i chierici “senior” Gianazza, Leonarduzzi, i neo-professi Martinelli, Putzu, Vacca… E Abuna Yousef Daccache, il prete Maronita anziano, un po’ incurvato, che ci rivolge le prime parole in Arabo: “Ahlan wa sahlan”. NeI cortile fraternizziamo con gli insegnanti e i ragazzi della scuola libanese…

Tra le prime cose da fare: metterci a turno alla “Olivetti” per dattilografare il “Diario di viaggio” su fogli di “carta riso” intercalati dalla carta carbone; 5 copie, una per ognuna delle nostre famiglie in Italia. Mia madre lo ha gelosamente conservato fino ad oggi.
Adattarci al clima e inserirci in quella nuova famiglia fu molto facile. A 16 anni si è malleabili. I rapporti erano del tutto spontanei, anche se noi, come novizi, dovevamo mantenere una certa “separazione canonica”: orari particolari e ambienti riservati, veste talare, raccoglimento. Ma come si fa a stare fermi quando i compagni più grandi vanno in cortile a giocare a calcio o pallavolo ? Furono loro stessi a chiedere al Maestro di permetterci di fare ricreazione insieme almeno qualche volta la settimana. Ne avvantaggiammo tutti e presto divenne molto più frequente!

Per noi che sognavamo i maestosi cedri del Libano, fu una delusione ritrovarci su una montagna brulla, con pochi alberi e bassi cespugli, preda delle capre … Sotto la direzione di Don Giraudo e Don Carlesso, dedicavamo alcune ore al lavoro manuale, scavando buche e piantando pini e cedri. Altre volte, con piccone pala e palanchino, sbancavamo la scarpata rocciosa per ampliare il cortile superiore. Oppure aiutavamo a completare i muri a secco per recintare la proprietà. Il signor Cavalieri guidava i lavori (come in Sardegna), delegando il giovane aiutante-cuoco Mariano a preparare qualcosa per cena (non ci voleva molto …).

Don Moroni negli anni precedenti aveva diretto i lavori della chiesa che adesso si presentava spaziosa, abbellita dei grandi quadri e sormontata dalla scritta “Gloria Libani data est ei”. Ora affidava a Cecco e Nardi il compito di affrescare il lungo corridoio d’entrata coi panorami di Beit-ed-Din, Saida, i Cedri …

Questa, per quattro anni, sarebbe stata la nostra casa di formazione missionaria.