IL CORTILE | SACERDOTI & CO
Forti Ernesto Don


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Purtroppo il nostro caro Don Forti è mancato al Cairo, il giorno 23/03/2000 a 77 anni.
Un saluto molto caro e amichevole da parte nostra a tutti coloro che se ne sono purtroppo già “iti”…
Un passerotto che si nutriva di alcuni cucchiai di minestra, un formaggino e un po’ di marmellata (le privazioni della seconda guerra mondiale gli avevano atrofizzato lo stomaco). Quei capelli neri e dritti, tagliati “a spazzola”, … e la goccia al naso!
Uomo dal “multiforme ingegno”, si trovava a suo agio parlando di centrali elettriche con l’ingegner Righetti o di calce e cemento con l’ingegner Volo. Riusciva a incantare sia che insegnasse letteratura italiana o chimica, anatomia o mineralogia, o che preparasse esperimenti di fisica e chimica in quel gabinetto scientifico che era impregnato sia dell’odore acre di acidi sia della musica sinfonica diffusa dai grandi 78 giri …
Per spiegare l’anatomia degli organi interni, andava dal macellaio e tornava portando in classe dentro una bacinella il cuore o i polmoni di un bue: “Ecco, questa è la vena cava superiore” – diceva introducendo l’indice all’entrata” – “queste sono le coronarie, qui dentro vedete i due ventricoli … Questo velo attorno ai polmoni è la pleure …”. Come si faceva a dimenticare? E quando spiegava la chimica organica, riempiendo la lavagna di formule, mentre la goccia al naso non dava tregua e allora il fazzoletto diventava il cancellino e viceversa …
I fossili, i minerali, le piante e i fiori …, con lui li abbiamo imparati non sui libri, ma “sul campo”, durante le passeggiate verso Laklouk e Kartaba, oppure ad Afqa: “Questa roccia è la dolomia … Questi fossili sono nerinee, risalgono a un milione duecentomila anni fa … Questo fiore dallo stelo argentato e i capocchietti rossi è l’elicrysum sanguineum …” – Ma si serviva pure di documentari scientifici che noleggiava al British Council o all’Istituto di Cultura della Repubblica Ceko-slovacca (come era chiamata allora).
Impressionati i commenti alla Divina Commedia: non era una spiegazione, la sua, ma una drammatizzazione, si trasfigurava … Nei miei componimenti provavo a imitarlo, con risultati goffi, al più il voto era un “sei meno meno”; mi fece riscrivere tre volte il tema sul Conte Ugolino! In compenso talvolta mi affidava da recitare qualcuna delle sue sublimi poesie per l’accademia della Madonna: dopo ripetute prove durante le quali mi suggeriva l’intonazione, il pathos, l’espressione.
Prima e oltre che mio professore, è stato mio Maestro di noviziato e per questo gli serbo un inestinguibile debito di riconoscenza; avevo 16 anni, ero pieno di entusiasmo: “Gianni tu hai una volontà forte, per raggiungere gli obiettivi che ti prefiggi sei disposto a sacrificarti, ma attenzione a non sacrificare le persone … “. Me la sono impressa in testa, caro Maestro!
Benché mi dilettassi a suonare la tromba (non certo con la potenza di fiato di ‘Abboud Gharghour) aveva capito che non ero fatto per la musica, e quando mi vedeva pedalare su un enorme harmonium che si trovava davanti alla camera di Abouna Youssef, scuoteva la testa, finché un giorno mi fa: “Pianta lì, non vedi che questo strumento non è per te?”. Passai alla fisarmonica ma durò poco, perché Don Del Mistro che era un finissimo musico e compositore pose fine alle mie velleità in modo piuttosto brusco. Con Gianmaria Gianazza e Nicola Masedu avevamo preparato un noto tango a tre fisarmoniche, “La Cumparsita”, e volevamo presentarglielo in occasione di una sua festa. Avevamo appena eseguito le prime battute appassionate che lui si alza agitato: “Signori, questa è musica da night-club, non da casa religiosa, andate via!”.
Dopo il periodo libanese, Don Forti passò al Don Bosco del Cairo, come professore e incaricato della tipografia. Si affezionò a quei ragazzi ai quali riuscì a far apprezzare le ricchezze della loro antica civiltà che neppure essi conoscevano. Per me rimase sempre un punto di riferimento ed era una intensa gioia rivederlo di tanto in tanto; senza veste talare appariva ancora più magro, leggermente incurvato, i capelli diventati grigi, … e il fazzoletto sempre in mano! Nell’ultimo incontro mi affidò come in testamento due raccolte di sue poesie, una di carattere religioso, l’altra di “scenette di vita” della Cairo popolare. “Ma gli anni più belli” – confessò – “sono stati quelli del Libano!”.
Gianni Caputa
Quando avevo letto sul Bollettino Salesiano della morte di Don Ernesto Forti mi ero commosso profondamente e questo per due motivi: è stato per me un grande Padre spirituale in qualità di maestro di noviziato ed un grande insegnante, caso più unico che raro, sia di discipline scientifiche che soprattutto di quelle letterarie.
Tra i tanti ricordi che sono rimasti impressi nella memoria ne racconterò solo due a testimonianza di questo grande e poliedrico uomo ma, come forse molti di voi sapranno, fisicamente tanto esile.
Un bel pomeriggio insieme al nostro “maestro” noi compagni di corso eravamo usciti dalla nostra casa di Dahr El Houssoun in direzione Kartaba per una delle solite gite “scientifiche”, così le chiamavamo, perchè oltre ai benefici di una buona passeggiata all’aria aperta e di una buona merenda c’era anche quello di una lezione peripatetica di scienze naturali!
Don Forti ad un certo punto, avendo trovato un enorme trilobita fossile in un grande blocco di roccia, si era fermato incantato ad osservarlo ed esaminarlo tirando fuori dalla sua borsetta i “ferri del mestiere” di un buon paleontologo. Terminata l’analisi non riusciva a staccarsene perchè lo reputava un reperto troppo importante per la sua collezione da lasciarlo stare lì, ma come fare ad estrarlo?
Per merito del nostro compagno aleppino Abboud Gharghour che era tornato di corsa a casa a prendere una grossa mazza, si era potuto recuperare l’enorme fossile dopo tanto tempo, tanta fatica con l’inconveniente però di averlo spaccato in due parti. Solo la pazienza e l’abilità di Don Forti, una volta rientrato nel suo laboratorio, lo avevano riportato alla sua integrità e splendore originario!
Il secondo episodio si ambienta nella piccola aula dove si tenevano le lezioni del liceo che si trasformava in un prestigiosissimo palcoscenico quando Don Ernesto recitava la Divina Commedia trasfigurandosi in un’estasi che non poteva che trascinarci tutti in un ascolto e ad una partecipazione che in seguito non ho mai più riscontrato!
“Pape Satan, Pape Satan Aleppe!”
Tra le varie interpretazioni di questo primo ed enigmatico verso del VII canto dellInferno dantesco, lui preferiva quella secondo la quale il verso translitterava quanto ripetevano i commercianti arabi che passavano dalla Toscana:
“Babul Shaitan, Babul Shaitan Halab”
“La porta di satana (dell’inferno) la porta di satana è Aleppo”
Riferendosi al fatto che la città di Aleppo, essendo situata in una depressione e quindi più vicina al centro della terra, dove secondo antiche credenze era allocato l’inferno, ne costituiva la porta.
Qualche volta in questi ultimi anni ho sentito commentare la Divina Commedia anche da persone autorevoli e coinvolgenti, ma la declamazione del caro e compianto Don Ernesto Forti sono sicurio resterà insuperabile!
(Orlando A. Cangià)
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