Dove è sparita la società democratica…

da | 14/06/2017 | CONCETTI E PERCEZIONI | 1 commento

Il successo dell’antipolitica del populismo è dovuto a un mondo politico detto “democratico” che in realtà si è assoggettato a un sistema che con la democrazia non ha niente a che vedere e dove sono accettate come fisiologiche le diseguaglianze sociali, un elevato tasso di disoccupazione, il lavoro precario e i bassi salari. Allo stesso tempo i ricchi, dal canto loro, sono sempre più ricchi.

Certo, abbiamo fatto grandi passi in avanti rispetto ai tempi del “ius primae noctiis”, vale a dire il diritto del signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa. Nondimeno siamo ancora lontani da una società giusta, dove tutti i cittadini, prestatori d’opera compresi, siano pienamente rispettati nei loro diritti di esseri umani e dove la ricchezza prodotta sia equamente distribuita.

Perché solo così una società può dirsi democratica. In nome della democrazia abbiamo giustamente combattuto i regimi dittatoriali, come quelli comunisti, che hanno per anni soffocato la libertà e i diritti fondamentali dell’uomo. Anche se va doverosamente rilevato che, in quei regimi dell’Europa dell’Est, l’essenziale era assicurato a tutti: ad eccezione della “nomenclatura” tutti erano poveri ma, tuttavia, nessuno soffriva della miseria e della fame. E’ solo con l’avvento della “democrazia” che questi paesi hanno conosciuto minoranze ricche sfondate e una quantità considerabile di cittadini nella miseria più nera mai conosciuta prima.

Se il denaro non compra la felicità, è pur vero che rappresenta un importante mezzo per raggiungere standard di vita più elevati e, dunque, un maggior benessere. Una maggiore ricchezza economica può altresì migliorare l’accesso a livelli di istruzione, assistenza sanitaria e abitativa di qualità.

In Italia disuguaglianza e povertà sono cresciute rapidamente durante i primi anni novanta. Da livelli simili alla media OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) si è passati a livelli vicini a quelli degli altri paesi dell’Europa del Sud. Da allora la disuguaglianza è rimasta a un livello comparativamente elevato. Oggi, tra i 30 paesi Ocse l’Italia ha il sesto più grande gap tra ricchi e poveri.

Redditi da lavoro, capitale e risparmi sono diventati più diseguali a partire dalla metà degli anni ottanta.

In Italia la ricchezza è in mano ad un gruppo (molto) ristretto di persone. Da una ricerca dell’OCSE si rileva che in Italia la ricchezza nazionale netta è distribuita in modo molto disomogeneo, con una concentrazione verso l’alto. Infatti, nel nostro paese l’1% della popolazione detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta: il triplo rispetto al 40% più povero che ne possiede appena il 4,9%.

Va detto, tuttavia, che la povertà minorile nel nostro paese è scesa in modo particolarmente rapido, dal 19% al 15%. Ciononostante, il tasso di povertà minorile del 15% è ancora sopra la media OCSE del 12%. Inoltre, sanità, educazione e alloggi forniti dal settore pubblico hanno contribuito a ridurre la disuguaglianza nella distribuzione del reddito più che nella maggior parte dei paesi OCSE, pur rimanendo, tuttavia, tra le più elevate. La mobilità sociale in Italia è più bassa che in altri paesi, come Australia o Danimarca. Figli di famiglie povere hanno una più bassa probabilità di diventare ricchi rispetto ai figli di famiglie ricche.

Un governo che si definisce di centro/sinistra, come quello di Matteo Renzi prima e di Paolo Gentiloni poi, non ha indicato tra le sue priorità la riduzione di queste disuguaglianze che contrastano con i sani criteri di una società veramente democratica. Non c’è quindi da sorprendersi se il populismo e l’antipolitica si affermano sempre di più nel nostro paese.

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