IL CORTILE | ALLIEVI
D’Andria Mariella
andriella@fastwebnet.it |
1972 |
ROMA |
10/01/1955 |
Salve, Anch’io, come tanti altri di voi, sono nata a Beirut, nella Beirut degli anni belli. Infatti la mia famiglia si era ricostituita in quella terra ospitale fuggendo da Smirne in Turchia dopo un disastroso incendio (non ricordo in che anno) (era il 1922 in occasione di quella che i greci ricordano come “i catastrofì”, n.d.r.).
La mia era una grande famiglia, intesa anche come numero di componenti : nonni, zii, cugini di primo secondo grado e così via. Le nostre case si trovavano a pochi metri di distanza : quella dei nonni, dei cugini Nando, Mario e Guido Bonapace.
Tanto vicine che, per comunicare senza telefono, bastava affacciarsi e fare un fischio, modulato su cinque note perché la nonna comparisse sul poggiolo o la zia alla finestra. Il momento topico era quello dei pranzi per festeggiare una ricorrenza o un compleanno. A presiedere c’era sempre nonno Pol, giustamente soprannominato “il patriarca”.
Tutto iniziava con la preghiera di ringraziamento, seguita da abbondanti libagioni (nonno era infatti un “gourmet” ed ottimo cuoco e penso che è da lui che abbiamo ereditato il piacere della buona tavola e la propensione ad essere buone forchette). Dulcis in fundo si dava inizio alle “cantate “, cori a piu’ voci che dirigeva sempre il nonno. In quelle circostanze quella era la colonna sonora dei nostri giochi di bambini. Scusate se ho indugiato su questi dettagli, ma ho sentito il bisogno di rievocarli . Ai miei occhi di bambina quello era il cerchio magico in cui mi muovevo .
Nulla mi poteva accadere se non una cosa bella . Ovunque io fossi, percepivo quelle presenze come un tenero e protettivo abbraccio . Credevo che sarebbe stato sempre così … invece… ! Ho frequentato le scuole elementari e medie dalle Suore d’Ivrea . Anch’io ho un ricordo un pò contrariato di quel periodo. Il sistema era piuttosto rigido (proprio come quello dei loro larghi colletti plissettati e inamidati) e ogni tanto eravamo sanzionati con qualche qualche bacchettata. C’era l’obbligo della divisa e passa…ma quella per la ginnastica!Quanto ho odiato quel gonnellino che mi si attorcigliava tra le gambe quando dovevamo salire la corda o quando andava a battere sull’asticella o l’elastico del salto in alto! Scattava l’inesorabile sequenza: un lungo suono di fischietto della maestra e la successiva e terribile sentenza: Fallitoooo !
Finalmente è arrivato il momento delle superiori., il mio ingresso alla Don Bosco, già divenuto liceo misto . E’ tutta un ‘altra musica (non solo quella dei “Dummies”).
Qui niente bacchettate, al massimo una sleppa sul capocollo immediatamente seguita da una carezza del mitico Don Doveri, qualche colorito fraseggio di Don Filè, o il sommesso richiamo del piccolo Don Risatti, con la sua “esse” sibilante (colpa della dentiera). In questo contesto, con la guida sapiente e l’esempio generoso dei nostri Don, abbiamo affinato il senso della fratellanza, della condivisione, della tolleranza, dell’accoglienza.
Ricordate certo tutti quante lingue e culture giocavano gomito a gomito nel nostro cortile . Quindi, quanto capitava che a noi si aggiungesse un nuovo compagno arrivato al seguito dei genitori per ragioni di lavoro, era spontaneo vedere subito in lui un nuovo membro di quest’altra grande famiglia, aprigli la nostra casa ed e il nostro cuore, aiutarlo a comprendere gli usi e costumi del paese. A questo punto mi viene spontaneo ricordare una compagna su tutte: la mia grande amica Simonetta Riffero. Abitava vicino a noi, ci potevamo vedere dei balconi (ma per il fischio non c’eravamo già piu’).
Quanti momenti felici e spensierati abbiamo vissuto insieme! Simo, quando sei partita per tornare in Italia a bordo dell’Ausonia, dal balcone di casa che dava sul mare, ti ho salutata con il lampeggiare della mia torcia. Il nostro segnale! E poi è arrivata l’estate 1971 ed ormeggia in porto la nave scuola Amerigo Vespucci. A seguito dell’addetto militare Gen. Riffero e famiglia, partecipo alla festa di benvenuto. Conosco un giovane cadetto…quattro chiacchiere, un ballo, uno scambio di indirizzi …Et voilà ! La nave riparte, io resto per frequentare l’ultimo anno di maturità. Inizia un fitto scambio di corrispondenza .
E’ mio padre che mi consegna le lettere che arrivano alla sua casella di posta. Me le tende dicendo tra il serio e il faceto: “Ecco … ancora dal marinaio”!
Settembre 1972: parto per l’Italia per iscrivermi all’università di lingue di Torino. Raggiungo Simonetta in collegio e dividiamo la stessa camera. Lei però l’anno successivo parte per Novara e si sposa con Enzo. Rimango un po’, anzi, tanto sola . La storia con il marinaio va avanti, anche se non è facile vedersi molto spesso: lui a Livorno in Accademia, io in collegio a Torino. Ma, appena concluso il suo iter formativo e indossati i gradi da ufficiale ci sposiamo nell’aprile 1977.
E da allora sempre insieme, ovunque il dovere lo chiamasse, girando tutta la nostra bella penisola (Livorno, La Maddalena, Taranto e la città natale dei miei due meravigliosi figli: La Spezia) e finanche all’estero, a Parigi, per quattro anni. Finita questa parentesi transalpina, nel 1999 siamo arrivati a Roma dove abbiamo deciso di gettare definitivamente l’ancora. Qui ci hanno potuto finalmente raggiungere mamma e papà. Li ho avuti vicini per soli tre anni.
Sono tornati alla casa del Padre nel 2003 a distanza di tre mesi l’uno dall’altro. Ed eccoci ad oggi: Maurizio, mio figlio maggiore, si è laureato in scienze politiche (con una tesi sul Libano contemporaneo), ed ora si sta “masterizzando” in diritto europeo. Sergio vicino alla Laurea in tecnologie informatiche. Per ora stiamo ancora tutti e quattro sotto lo stesso tetto, ma fin a quanto non si sa. Io intanto lavoro in un istituto di ricerche di mercato internazionali. Sempre sotto il nostro tetto, hanno trovato rifugio anche quattro, fameliche, tartarughe acquatiche: Paco, Fritz, Tao e Camilla.
L’aspettativa ora è quella di diventare nonna, prima o poi, come lo è già qualcuno di voi. Se sono stata prolissa, scusatemi, ma piu’ che una stilare una asettica cronologia ho preferito lasciarmi prendere dal flusso delle emozioni che ho voluto condividere con tutti voi, i vecchi amici della grande famiglia dei “fratelli in Don Bosco”. Un abbraccio a tutti.
Mariella D’Andria