CoronaViruStrunz : testimonianze che fanno riflettere

La denuncia del sindaco di Brescia, terza città per contagio, che chiede maggiore solidarietà dalle Regioni vicine e la lettera di una infermiera, toccante testimonianza sull'ultimo giorno di vita di una paziente colpita dal coronavirus

da | Apr 7, 2020 | AGENZIE and CO | 0 commenti

Carissimi tutti, qui di seguito due articoli apparsi recentemente sulla Famiglia Cristiana e che vi invito a leggere e a rifletterci sopra, non occorre che mi dilunghi più di tanto, grazie ed un saluto da tutti noi a tutti voi.

Fate attenzione, non scherziamo…

Don Gianni

Salesiano DOC, SSB

Lettera dell’infermiera sull’ultimo desiderio di una madre di quattro figli

01/04/2020  Il sindaco di Volvera, paesino in provincia di Torino, ha postato su Facebook la lettera di una concittadina che fa l’infermiera. Una toccante testimonianza sull’ultimo giorno di vita di una paziente colpita dal coronavirus

FAMIGLIA CRISTIANA / Eugenio Arcidiacono @eugenioarcieugenio.arcidiacono 

Un’infermiera che lavora nell’ospedale San Luigi di Orbassano, in provincia di Torino, ha inviato a Ivan Marusich, sindaco di Volvera, la sua città, una lettera in cui racconta una giornata di lavoro che l’ha molto segnata, tanto da invitarlo a condiverla su Facebook. Ecco il testo.

Buonasera sig. Sindaco, lavoro in ospedale, le scrivo perché, da cittadina Volverese vorrei descriverle una giornata tipo. Una come tante, in questo periodo. Ma non vorrei descriverle quello che stanno passando i media: numeri, statistiche, decreti e divieti. Vorrei farlo visto dal lato del paziente covid positivo e degli operatori. Il covid è molto più che un virus subdolo.

Siamo un paese che sa solo lamentarsi per qualsiasi cosa, mai contenti di nulla. Sembra che la quarantena sia un castigo anziché una protezione per ognuno di noi. Se lo riterrà opportuno, potrà condividerlo lei, per sensibilizzare.

Che bello essere chiamati angeli…ma chissà se poi lo siamo davvero. È un sabato mattina di una settimana di allerta covid. Finalmente un giorno di riposo dopo tanto lavoro. Finalmente puoi dedicarti alla famiglia. Per te la quarantena non esiste, non esiste il divieto ad uscire… non è mai esistito. Tu DEVI lavorare, sei preziosa…dicono. E invece no, niente riposo. Arriva la chiamata. Si deve andare. C’è bisogno di coprire turni. Il lamento è d’obbligo, non vorresti… ma si fa. Mentre ti prepari, rifletti che marzo non è stato affatto clemente: turni di 12 ore, ferie annullate, riposi… cosa sono i riposi?

Arrivi in ospedale, qualche figura nei corridoi, ma ancora troppa gente in giro. Arrivi al reparto critico, quello dove sono ricoverati i pazienti positivi. Tutto blindato, suoni. Ti apre la collega che è li da ieri sera… Stremata, viso segnato dalla mascherina e gli occhiali, prendi consegna e la congedi. Deve riposare. Suona un campanello. Ti sporgi alla camera interessata, chiedi il motivo della chiamata, rassicuri che presto entrerai, e vai a vestirti. La vestizione è lunga, ci si deve bardare molto bene,non si possono commettere errori di trascuratezza. Entri dalla paziente, la conosci… la saluti. Ha un casco sulla testa, si chiama c-pap. Serve per respirare meglio.. non ha molte speranze e il monitor al quale è collegata ne dà conferma. Ma la paziente è cosciente, lucida e orientata nel tempo e nello spazio… ma soprattutto sa che sta per morire. Lo sa, lo percepisce… lo sente. Parli un po’ con lei.

Non mangia da giorni. Questa mattina chiede la colazione. Ha un diabete non controllato e vuole due fette biscottate con la marmellata. Sarà certo il diabete il suo peggior nemico ora? E riferisci alla collega di passarteli. Quello sguardo implorante ti uccide. Distogli ogni tanto gli occhi da lei per non morire dentro…

Mentre le sistemi i cavi dei parametri vitali, lei ti prende la mano… amore, sei mamma? Si, di due ragazzi. Allora puoi capire cosa sto provando? Posso provare, ma se vuoi, puoi descrivermelo… ti ascolto.

Ho 4 figli… sono sempre stati tanto mammoni. Un rapporto bellissimo, anche perché gli ho fatto da madre e da padre, visto che sono rimasta vedova da giovane… Non ho paura di morire, non vorrei solo soffrire. Ma un giorno, uno dei miei figli è venuto a trovarmi e non lo hanno più fatto entrare.. è stato obbligato, non una scelta. Non ho potuto vedere più i nipoti, le nuore…nessuno. Io qui, loro a casa. Non ho potuto dir loro quanto bene gli voglio…

Ma chiamali al telefono e diglielo! Si, ma non è la stessa cosa… E vabbè, però ti sentono, ti parlano…è già qualcosa, meglio di niente… Li chiamo ogni giorno,l i sento che stanno soffrendo perché non possono stare con me fino alla fine.

Entra il medico… la visita… squilla il telefono, è uno dei figli.. la paziente gli dice: c’è il medico, te lo passo. Il medico descrive al figlio la situazione. È davvero critica… Alla signora viene detto che dovrà essere intubata presto e che non ha molto da vivere. Il figlio chiede di poterla vedere per un ultimo, breve saluto. Non è possibile… il covid non decide su chi posarsi… si insinua su chiunque… Il medico esce dalla stanza… la signora piange disperata. Mentre è ancora al telefono con il figlio, il figlio piange con lei… lei ha sempre su di te quello sguardo implorante, come volesse chiederti di fare qualcosa… chiedi di passarle il telefono. La signora ha un telefono vecchio, non è anziana, ma nemmeno tecnologica… non puoi avvicinare il telefono all’orecchio, quindi non sai cosa ti risponde il figlio… ma quello sguardo ti ha trapanato… non sei soltanto un operatore, sei mamma, sei figlia…

Dici al figlio: radunatevi tutti e 4 ma proteggetevi con le mascherine. Fatelo prima che potete e poi chiamate in video chiamata questo numero… e gli dai il tuo…. vi farò vedere mamma. È poca cosa, ma almeno non sarà una cosa interrotta di netto, e la potrete vedere. Gli dici che sarai li x altre 10 ore e di richiamare più volte se non rispondo subito… Non passa neanche un’ora… la collega dice che dalla borsa sta squillando il tuo telefono… tu sei sempre vestita e sempre in quella stanza.. non sei mai uscita… le chiedi di prendere il cellulare, metterlo in un sacchettino, disinfettarlo e passartelo. Apri la video chiamata.. tutti e quattro i figli li… la paziente non se lo aspettava ed è felice come una Pasqua…..e tu con lei. Si parlano un bel po’… si raccontano, si dicono ti amo… lei desatura spesso perché si sta affaticando… ma sai il destino nefasto, non te la senti di chiedere di chiudere. Già una volta sono stati obbligati a tagliare, ora vuoi che la decisione sia la loro…

La chiamata dura circa mezz’ora… ed è come se un cerchio si fosse chiuso, quello che doveva essere è stato… lei aveva resistito solo x loro, per vederli, per salutarli. Hai il cuore in mille pezzi. Pensi a te e ai tuoi figli e comprendi tutto… ogni sua preoccupazione. Ti prende la mano, ti dice grazie, veglierò su di te, per quello che hai fatto. E fai fatica a non piangere.

La paziente si spegne. Decidi di uscire e lasciare ai colleghi il resto. E vedi che, come le procedure prevedono, la cospargono di disinfettante, la avvolgono in un lenzuolo e la portano in camera mortuaria. Sola….sola… i suoi effetti personali messi in triplice sacco nero andranno inceneriti…

È domenica mattina.. l’agenzia di pompe funebri è venuta a prendere la salma. Uno solo dei figli presente, a debita distanza. Non l’ha più vista da quella video chiamata. Dà indicazioni all’incaricato e vanno via… la sua macchina svolta a destra, la salma va a sinistra… sola.

Non ce la fai, quello è troppo!!! E se fino ad ora non avevi pianto, ora non ce la fai…

A casa apri facebook. Lamentele ovunque. Vi hanno negato la libertà, il bimbo non può andare più al parco, il cane passeggia troppo in là da casa, non si trova più lievito… Quanta ignoranza…quanti pochi problemi ha la gente… ma su una cosa ancora siamo fortunati: a noi ci saranno state anche negate delle cose, dovremmo anche fare sacrifici… ma almeno noi abbiamo ancora la dignità, un diritto che il covid19 ti toglie, senza poterti lamentare…

Un diario dalla prima linea, quella umana, del cuore…

Del Bono: “Più facile far curare i pazienti in Germania e al Sud che nel vicinissimo Veneto” 

30/03/2020  La denuncia del sindaco di Brescia, terza città per contagio, che chiede medici, infermieri, mascherine, tamponi e maggiore solidarietà dalle Regioni vicine per assistere i contagiati e arginare l’epidemia che, qui, non conosce flessione.

FAMIGLIA CRISTIANA    Annachiara Valle 

«Servono medici e infermieri, servono mascherine, servono i tamponi, serve una maggiore solidarietà tra le Regioni». È drammatico l’appello di Emilio De Bono, sindaco di Brescia, terza città in Italia per numero di contagi. «A differenza di altri territori che cominciano a vedere una certa regressione, noi abbiamo un andamento diverso. A oggi abbiamo superato quota 8.100 di positivi conclamati ed è ragionevole pensare che questo numero vada moltiplicato almeno per cinque. Abbiamo avuto oltre 1.200 decessi ufficiali, anche se sono sicuramente molti di più, perché chi muore in casa o nelle residenze di riposo non viene sottoposto a tampone e, dunque, non viene riconosciuto come Covid. Facciamo fatica e, nonostante le misure restrittive non riusciamo a contenere il volano dei contagi».

Perché, secondo lei?

«Sicuramente all’inizio, quando il contagio è arrivato dalla provincia di Cremona, a sua volta contagiata da Lodi, il territorio non è stato isolato con zone rosse che permettessero di contenere il contagio. Oggi, però, vediamo delle altre falle. Abbiamo ancora tante persone malate a casa. E a queste persone non viene fatto il tampone. Questo significa che i familiari, a loro volta non sottoposti a tampone né a isolamento, escono a fare la spesa, vanno a lavorare e diventano, loro malgrado, moltiplicatori di contagio. È evidente che qui c’è una fatica oggettiva a riorganizzare il sistema del controllo sanitario con il fine di ridurre l’espandersi dell’epidemia».

Chi decide a chi si fanno i tamponi?

«La Regione, le autorità sanitarie territoriali prendono indirizzo dalla Regione. E, mentre in Veneto la “politica” di Zaia è stata quella di estendere i tamponi in modo più diffuso, facendoli nelle rsa, a pioggia quando hanno avuto il caso di Vo’, in Lombardia l’indirizzo dato è stato quello di fare i tamponi, sostanzialmente, solo a quelli che vanno in ospedale e che sono in condizioni particolarmente evidenti di sintomatologia. Una platea, questa delle persone sottoposte a tampone, che nel sud della Lombardia è stata molto modesta e ha costituito certamente un punto debole del sistema».

Un altro punto debole è lo spostamento fuori regione dei pazienti che ne hanno necessità. Cosa succede?

«Sembra che sia più facile spostarli fuori Regione che a pochi chilometri da noi. Abbiamo avuto pazienti che sono andati nel Mezzogiorno, in Puglia, nel Lazio, o in Germania ma non hanno avuto “ospitalità” nella vicinissima regione Veneta. Questo l’ho appreso tramite un appello sottoscritto dai primari di rianimazione e dagli anestesisti della Regione Lombardia. Qualche giorno fa hanno chiesto pubblicamente perché le regioni vicine non aiutano la Lombardia. Allora mi chiedo, se è così e se è stato così, se esiste ancora il Servizio sanitario nazionale. Non può essere che ogni Regione decida in maniera “egoistica” se aprirsi o non aprirsi o se trasferire o meno del personale medico e infermieristico in zone particolarmente esposte come la nostra».

Ha avuto modo di parlare direttamente con Zaia?

«Un sindaco, purtroppo, non può entrare in queste modalità che sono rapporti tra Regioni. Credo, però, che sia importante che, almeno le regioni del nord – Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte – dove è il focolaio più importante, costruissero una politica comune, una solidarietà stretta, integrata. Mi sembra che questo non ci sia stato e mi pare che il Governo avrebbe potuto e dovuto vigilare che queste autonomie gestionali sanitarie non diventassero elemento problematico dal punto di vista della cura dei pazienti».

Di cosa ha bisogno oggi Brescia?

«Di medici e di infermieri perché le strutture sanitarie ospedaliere sono ancora sotto stress. Stanno lavorando senza sosta e  a scartamento ridotto perché una parte si è contagiata. Abbiamo necessità che ci inviino medici e infermieri competenti, in particolare, in rianimazione. Il Civile, il nostro ospedale cittadino, è riuscito ad allargare da 13 posti la terapia intensiva, ma non ha i medici e gli infermieri per farla funzionare».

E poi?

«Abbiamo bisogno di fare una politica sui tamponi diversa. Farli nelle rsa, al personale medico e infermieristico, a quei pazienti che hanno sintomatologia conclamate a casa perché si deve sapere se loro sono positivi in modo da mettere in isolamento loro e le famiglie. Abbiamo bisogno di dispositivi di protezione: servono mascherine, camici, respiratori e bombole di ossigeno.  Soltanto le strutture sanitarie necessitano di un milione di mascherine al giorno perché sono monouso e il sistema lombardo è in grado di produrne e trasferirne 800 mila. Ma non ci sono solo le strutture ospedaliere, ci sono quelle socio assistenziali, socio sanitarie, il personale che sta in prima linea, le forze dell’ordine. Abbiamo bisogno di un salto di qualità. Stiamo un pochino meglio rispetto a qualche settimana fa, ma non siamo ancora a regime».

La città come sta reagendo?

«Brescia è stata straordinariamente generosa sia dal punto di vista della raccolta di fondi sia dal punto di vista del numero di volontari. Solo in città ci sono 500 volontari che vanno nelle case degli anziani a portare la spesa e medicinali. E poi ci sono centinaia di volontari sulle autolettighe, sul fronte sanitario. Nel momento di emergenza questo territorio ha trovato, ancora una volta, le ragioni della solidarietà e dell’aiuto agli altri».

Un aiuto, in queste ore sta arrivando dall’Albania.

«Ringrazio e devo dire che l’intervento che ha fatto il premier Rama inviandoci i 20 infermieri e i 10 medici è stato da statista. Uno che dice: “Io ho avuto tanto dall’Italia e ora vi restituiamo qualcosa, noi la piccola Albania”. La povera Albania manda personale medico e infermieristico, preziosissimo, e ce lo consegna dicendo: “Sappiamo che avete bisogno”. È una grande lezione di civiltà».

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